35 anni di Ferrari V8: linea di sangue

Smartworld
di Henry Catchpole

Dalla 308 GTS alla 458 Italia, passando per la 348tb, la F355, la 360 Modena e la F430.

35 anni di Ferrari V8: linea di sangue

Smartworld
di Henry Catchpole

Dalla 308 GTS alla 458 Italia, passando per la 348 tb, la F355, la 360 Modena e la F430.

A casa dei miei, sparsa in vari cassetti e scatole polverose, c’è la mia collezione di macchinine. Sono quasi tutte rosse, perché da piccolo adoravo le Ferrari: penso che l’origine della mia passione fosse quel magico Rosso Corsa, il modo in cui quel colore le distingueva dalla massa.

Poi però quell’aura speciale che avvolge le creature di Maranello mi ha conquistato definitivamente, rosso o non rosso. Mi bastava vederne una con la coda dell’occhio per strada per farmi venire la pelle d’oca. E se ne scovavo una in un parcheggio potevo passare ore a girarci attorno in totale ammirazione, concentrandomi su ogni singolo dettaglio.

Chissà che cosa avrei pensato allora se mi avessero detto che un giorno avrei guidato una F355 diretto a Salisbury, dove mi aspettano altre cinque Ferrari.

L’obiettivo di questo test è semplice: seguire i progressi e l’esperienza di guida delle stradali Ferrari mosse da un V8 negli ultimi 35 anni.

La Casa di Maranello è diventata famosa grazie ai V12 ma negli ultimi tre decenni le Ferrari junior sono state le più importanti perché sono un sogno (quasi) realizzabile per tante persone.

Nonostante sia l’ora di punta, stranamente c’è pochissimo traffico e la superstrada si snoda quasi deserta verso l’orizzonte.

Le Ferrari a motore centrale offrono una vista fantastica dietro il parabrezza inclinato e con quel caratteristico abitacolo basso.

La notte scorsa sono andato a ritirare questa F1 Berlinetta in Surrey direttamente dal suo proprietario ed è incredibile quanto sia leggero ed elastico il servosterzo e quanto sia stupefacente il… No, aspettate un attimo, così sto anticipando i tempi. È meglio iniziare dal principio.

Il luogo del ritrovo è un piccolo triangolo di strade poco a nord di Stonehenge e il nostro campo base oggi è uno spiazzo enorme e pittoresco che l’esercito, proprietario della zona, ci ha permesso di usare.

Queste sei auto allineate sotto il sole sono uno spettacolo meraviglioso. Oltre alla livrea gialla di una di loro, ci sono alcuni dettagli che saltano subito all’occhio. Tre auto hanno i fari a scomparsa mentre le altre tre hanno i fari coperti da un vetro; tre hanno i motori a vista e tre invece no. Escludendo i “Challenge” della F430, sembra di assistere a un’evoluzione dei cerchi a stelle, con le razze che con il passare del tempo sono diventate sempre più sottili. A distinguersi nel gruppetto poi c’è la 348, con il suo look spigoloso dannatamente anni Ottanta. Ed è anche l’unica senza i fari posteriori rotondi. La 458 invece è la prima Ferrari senza i quattro scarichi… Affascinante.

Tutto è iniziato con la 308. Questa GTS è un’ottima rappresentante delle prime auto con quattro carburatore Weber 40. Nel 1981 la 308 è passata all’iniezione, che ha fatto calare la potenza da 255 a 214 CV, poi risalita a 240 CV con la Quattrovalvole, sempre con i carburatori. Il sedile del guidatore, con la pelle resa liscia da anni di utilizzo, sembra sempre reclinato, non c’è supporto per la testa, il poggiatesta è inutile in caso di incidente e il volante è inclinato all’indietro: insomma, sembra di stare in salotto. Mi sento quasi fuori luogo: forse dovevo infilarmi un bel paio di pantofole e una vestaglia a scacchi…

«Analogico» è la prima parola che mi viene in mente quando osservo la fila di comandi tra i sedili. Ma mi rendo davvero conto di quanti anni ha quest’auto solo quando vedo il pulsante dell’aria. La piccola chiave si infila solo da un verso e il V8 ad albero piatto con le bancate a 90 gradi montato trasversalmente (dicono derivi dal motore di F1 del 1964 di Angelo Bellei) si risveglia con una leggera e soffice nota di scarico.

I controlli sono sostanziosi ma non così pesanti come temevo. Per infilare la prima bisogna spostare la leva prima a sinistra e poi indietro, si preme leggermente il pedale destro incernierato al suolo e poi via, si parte.

Per i primi chilometri il cambio assorbe tutta la mia attenzione, anche perché questa trasmissione Ferrari a gabbia aperta è eccitante ma richiede una certa concentrazione. All’inizio è un po’ rigido quindi non si può affrettare troppo l’innesto ma la frizione è precisa perciò ogni cambiata è piacevole e ben sintonizzata, anche se richiede attenzione. Appena superato il paesino di turno apro il gas e mi lancio verso le prime, invitanti curve della strada. La velocità cresce progressiva e fluida permettendomi di godere delle infinite variazioni della voce gutturale del motore. L’accelerazione non è così forte o netta da incollarmi al sedile ma non è nemmeno deludente come temevo. A Metcalfe, come a me, la sua colonna sonora sembra un po’ “vintage”. Quello che invece non è vintage sono i freni, incredibilmente progressivi e resistenti per tutta la corsa del pedale.

Ma dopo la fiducia che questa Ferrari sa ispirare in ingresso di curva la reazione del volante è rabbiosa e sconcertante. Attacco la prima curva a destra con troppa foga, l’anteriore si aggrappa all’asfalto ma poi perde aderenza e il posteriore sembra scollegato e incapace di venire in mio aiuto finché non riapro il gas. A essere onesti, il telaio non è mai il massimo quando si sega via un pezzo di tetto ma è stato scioccante scoprire che bisogna preparare in anticipo l’auto per le curve bilanciandola con l’acceleratore per mantenere il telaio carico.

Secondo Harry ci sono 308 con un handling migliore (i cerchi più grossi di questo esemplare non aiutano) ma non c’è dubbio che dinamicamente quest’auto sia più vicina alla Dino che alla 348.

Non stiamo dicendo che non sia piacevole da guidare, anzi. È solo che la parte migliore arriva quando la si parcheggia, si apre la portiera, ci si allontana dall’auto e poi ci si gira a guardarla. Averne una migliora decisamente l’umore.

Mentre la 308 GTS è delicata, sfuggente, con fianchi leggeri, la 348tb ha una linea tozza e quasi smussata, una specie di mini Testarossa. Quella “t” nel suo nome significa trasversale (la b invece sta per berlinetta) ma si riferisce al cambio, non al motore. Infatti a differenza del modello precedente il V8 adesso è longitudinale e così è rimasto in tutte le “piccole“ Ferrari da quel momento in poi. Quando si apre quella caratteristica portiera con le lamelle, l’occhio cade subito sul cambio. Con quel pomello argentato e leggermente più grosso della serie precedente sembra una scultura, semplice ma impressionante. Pensavo che tutte le leve del cambio fossero dritte ma questa è un arco perfetto che la rende ancora più bella. I magnifici quadranti Veglia del cruscotto della 308 però sono stati sostituiti dalla strumentazione con le scritte arancioni illuminate e un carattere molto squadrato. Sono così anni Ottanta che in confronto le giacche con le spalline sono quasi normali, anche se sono convinto che quel carattere non sia poi tanto diverso (colore a parte) da quello sul contagiri della Scuderia…

Questa è l’unica auto con la console centrale collegata al pavimento, un dettaglio che fa sembrare meno spazioso l’abitacolo. I pedali poi sono spostati un po’ troppo a sinistra. Risveglio il V8 da 300 CV (320 CV dal 1993) e poi mollo il freno a mano a sgancio rapido. Vipul Dave, che ci ha gentilmente prestato la sua 348, mi consiglia di non perdere tempo con la seconda marcia quando l’auto è fredda: «non ne vale la pena».

Naturalmente mi dimentico completamente del suo prezioso consiglio quando tolgo la prima e cerco di infilare la marcia successiva. Niente, non entra. Così passo alla terza, un po’ meno riluttante e il regime cala a picco mentre sollevo la frizione e punto verso il prossimo paesino.

Con l’aumentare della velocità però mi dimentico completamente del cambio perché il volante Momo Corse, semplice e privo di airbag, si risveglia tra le mie mani. Inizia letteralmente a contorcersi, mi trasmette tante informazioni sulle buche della strada e pretende tutta la mia attenzione quando scopre una contropendenza. Nonostante non sia servoassistito e abbia anche un diametro ridotto, non è per niente pesante ed è sempre sostanzioso e reattivo al punto giusto. Se devo essere sincero, la 348, tra tutte, è l’auto che ero meno ansioso di guidare perché ero convinto si sarebbe rivelata una parente povera – e più lenta – della 355. Ma adesso ho cambiato idea: è ovvio che ha uno tra i migliori sterzi, o forse proprio il migliore, che abbia mai provato.

Il motore è potente e i freni sono incredibilmente forti e sensibili, ma con la 348 il vero divertimento arriva in curva. L’anteriore è diretto e ansioso di intervenire (e questa è un’altra piacevole sorpresa), così mentre avanzo tra le curve morbide della pianura faccio il pieno di fiducia. Quando la strada si fa più tortuosa e le curve si trasformano in tornanti, mi sento abbastanza sicuro da darci dentro, ma per fortuna la prima volta non esagero. Mi infilo in curva manovrando quell’adorabile sterzo e all’improvviso il motore dietro le spalle sembra montato troppo in alto e pare quasi che la ruota posteriore interna si sollevi. «Qualsiasi cosa succeda, non togliere il piede dal gas», continuo a ripetermi.

Metcalfe, che più tardi ha avuto qualche problemino con la 348, centra il punto: «è come una Peugeot 205 GTI a motore centrale. Eccitante quando va bene ma capace di farti andare il cuore in gola se esiti quando prendi una curva un po’ troppo allegramente». Capisco perché i collaudatori all’epoca erano a disagio, soprattutto con l’asfalto bagnato.

Dopo il vortice di emozioni della 348tb, la F355 F1 Berlinetta è davvero rilassante. Non devo preoccuparmi della frizione e al posto del cambio c’è solo una piccola barra a T dove una volta c’erano gli ingranaggi del manuale. I due pedali sono meno disallineati e il grosso volante, con airbag, è servoassistito e semplicissimo da manovrare anche in parcheggio.

Alcune caratteristiche del vecchio modello rimangono: la parte superiore del volante è leggermente inclinata all’indietro e la posizione di guida è un po’ reclinata e molto bassa. Così bassa che se passate sopra un riccio vi pungete il sedere… Gli aculei del riccio ovviamente dovrebbero penetrare prima nel sottoscocca, visto che la F355 è stata la prima tra le auto dotate di V8 ad avere un’aerodinamica ispirata alle monoposto di F1. L’ispirazione più ovvia dal mondo delle corse, però, sono i due paddle neri dietro il volante. La frizione slitta parecchio quando si parte, ma nei primi chilometri il cambio manuale idraulico con paddle non è esitante e sobbalzante come temevo da uno dei primi esemplari di trasmissione di questo genere.

L’auto è molto rilassata e le sospensioni elastiche con gli ammortizzatori elettronici procedono in sincrono con la strada, filtrando le sconnessioni. Ma proprio quando inizia a sembrare tutto troppo facile, il regime sale e mi viene la pelle d’oca.

Il sound del V8 a cinque valvole per cilindro (ecco spiegato l’ultimo 5 del nome “355”) che tocca la linea rossa a 8.500 giri è un ruggito, un latrato e un grido, o tutte queste tre cose insieme. Ho un brivido lungo la schiena, le orecchie se potessero salterebbero di gioia, anche se, per rendere tutto perfetto e godersi al meglio questa stupefacente colonna sonora, servirebbe una versione scoperta. Questo esemplare poi ha uno scarico Capristo che in città sembra normalissimo ma spacca i timpani non appena le valvole bypass si aprono sopra i 4.000 giri. Se avrete mai la fortuna di comprarvi una Ferrari, ve lo raccomando caldamente.

Mentre si sfreccia per la campagna godendosi il motore e la velocità, il cambio F1 inizia a rivelare la sua vera età con scalate senza preavviso e innesti da 0,15 secondi (0,25 se non si è in modalità Sport) che interrompono la botta dell’accelerazione. L’handling è molto più facile di quello della 348: il baricentro è più basso e il peso è più equilibrato tra anteriore e posteriore, ma lo sterzo è un po’ lento e troppo assistito e leggero, e questo mi fa passare la voglia di esplorare fino in fondo i limiti della 348. Metcalfe, che ha guidato un paio di 355 di recente, è d’accordo con me: «ha un buon telaio ma per scoprirlo bisogna fidarsi, perché a pelle, all’inizio, non lo si direbbe mai. Gli ammortizzatori elettronici troppo “molli” non aiutano, non sai mai davvero che cosa succede sotto di te.» Eppure entrambi la vorremmo, non fosse altro che per spararla in galleria. Tiro il freno a mano, sollevo lo sportellino per aprire la portiera (un sistema che compare per la prima volta sulla 348 e che ritorna sui modelli successivi, fino alla 458) e mi ritrovo a un punto di svolta nella storia delle Ferrari V8: dietro di me ci sono alette e contrafforti e davanti i coperchi rossi delle camme con effetto sabbiato sotto il lunotto curvo.

La 360 Modena non potrebbe essere più diversa dalla 355 nemmeno se volesse e all’epoca del suo debutto il suo design ha attratto qualche critica. Però mi sembra che sia invecchiata bene e la semplicità delle sue linee la rende la più affascinante del gruppo, insieme alla 360.

Anche all’interno di quest’ultima le cose sono cambiate parecchio rispetto alle sue antenate. La seduta è meno reclinata e più alta, il volante è più verticale e basso. La plancia è più ordinata e sgombra perché la strumentazione è tutta nel cruscotto, con il contagiri in posizione centrale. Anche se è chiaramente un’auto più grossa, pesa quanto la 355 grazie al telaio con lo spaceframe in alluminio che sostituisce quello in metallo. Si sente che è più rigida anche solo passando sui sassolini nel parcheggio.

Con gli interni leggermente più scarni e tutta la carrozzeria che reagisce agli input della strada attraverso le Pirelli PZero è un po’ come stare su una Lotus Exige. La 360 è stata l’ultima Ferrari V8 a vendere bene con il cambio manuale e infatti anche questo esemplare non ha i paddle. Il manuale a gabbia aperta è una delle sette meraviglie del mondo automobilistico – insieme alle portiere a forbice della Lamborghini e alla posizione di guida centrale della McLaren F1 – ma la verità è che, come ha dimostrato la 348, sarà anche bello da vedere ma certe volte è un disastro da usare. In modo particolare se l’olio è freddo. Quando funziona bene (per esempio sull’Audi R8. Ecco, per averlo detto adesso mi troverò una testa di cavallino rampante mozzata nel letto!) si sente il delizioso scatto della leva che si muove da una marcia all’altra con la stessa fluidità e morbidezza di una vanga che scava nella terra fresca.

Quello della 360 è il miglior cambio manuale tra i presenti, è facile da manovrare e ben oliato anche se di tanto in tanto fa un po’ di resistenza. Ha carattere e dopo tanti anni mi piace ancora parecchio.

Tra le auto che ho guidato oggi la 360 è l’unica che a livello di pura velocità sembra una piccola supercar. Forse perché è più grezza e primitiva della 355 ma la botta che ti tira nella schiena sembra più potente di quei 20 CV di differenza e degli 0,2 secondi in meno che ci mette per toccare i 100 km/h.

Quando mi infilo in una curva a sinistra in terza con la 360 sembra quasi che le gomme sfiorino a malapena l’asfalto invece di morderlo con decisione. Con quello sterzo veloce e l’anteriore reattivo, si sente che è l’antenata della 430 e della 458, ma quando il grip anteriore finisce ha quell’equilibrio un po’ precario delle auto a motore centrale che si fa volentieri a meno di stuzzicare. Assomiglia più a una grossa Elise Mk1, anche se ha una punta di nervosismo che impedisce di guidarla con la tranquillità e la fiducia delle auto che l’hanno seguita. Però in lei si vede la genesi dell’handling della 458.

Della 430 la prima cosa che colpisce è la tecnologia. Le linee aggraziate e pulite della 360 ora sono più tese nel tentativo di migliorare l’aerodinamica. Ma secondo Harry non ci sono riusciti del tutto: «le alette anteriori scolpite che avvolgono i fari sono un’idea geniale. Ma mi sa che i progettisti erano così presi dal look della parte anteriore che si sono dimenticati del tutto di quella posteriore». Il didietro infatti sembra un po’ gobbo e teso anche se c’è qualcosa di impressionante nella fila di alette nel grosso diffusore posteriore.

Dentro, il volante ha rubato al cambio il ruolo di protagonista.

Non solo il manettino e il pulsante di starter fanno qui la loro prima comparsa, ma il volante inizia ad assumere una forma sempre più poligonale. Ci sono così tanti cavallini e loghi sparsi in giro per l’abitacolo che sembra quasi che la Casa di Maranello abbia lanciato la 430 quando ha iniziato ad espandere il business del merchandising.

I dettagli con una loro storia però sono pochissimi: i pedali di metallo forati che sembrano i tentacoli di un polipo sono proprio come quelli della 308 e i quattro interruttori per il tappo del serbatoio, il lunotto riscaldato e così via, sono identici a quelli che azionano i finestrini della 355. Giro la chiave, smanetto con l’immobilizer, rigiro la chiave, mi gratto la testa, poi mi ricordo del grosso pulsante rosso sul volante con l’eloquente scritta “start”. Tra tutte le auto presenti, la 430 è quella con il telaio più morbido. Lo sterzo è veloce ma non ultrasensibile, il grip in curva è impressionante senza essere intimidatorio e con l’E-diff il posteriore è più incollato a terra e allo stesso tempo più sfruttabile. È sparito quel nervosismo da auto a motore centrale della 360: questa Ferrari si può guidare come una M3 da 490 CV.

Il motore della 430 inizialmente era infilato sotto una Maserati e aveva solo quattro valvole per cilindro ma, visto l’incremento di 90 CV e 92 Nm rispetto alla 430, non c’è niente di cui lamentarsi. Il propulsore è sempre ad albero piatto, ma il rumore che vi sommerge da dietro le spalle è più profondo e soffocato.

Adoro guidare la 430. Il suo handling prevedibile e la fiducia che trasmette anche al limite sembrano fatti apposta per la guida su strada. L’unico difetto, forse, è che con i suoi sette anni il cambio F1 ormai non è il più veloce.

Ma lo sarebbe ancora, se non fosse per l’ultima sfidante.

La 458 Italia ha le maniglie delle portiere più tradizionali del gruppo (io sono un fan di quelle della 355, nascoste sotto le prese d’aria laterali) ma a parte questo sposta parecchio verso l’alto l’asticella, e sotto ogni aspetto.

La plancia sembra una scultura futuristica e il volante esagonale è così pieno di pulsanti che sembra quello di una PlayStation. Il freno a mano è elettrico e non c’è nessun quadrante analogico, a parte il contagiri con la linea rossa a quota 9.000. Al loro posto ci sono due schermi multifunzione che vi dicono quanto state andando veloci, quanto sono sotto sforzo il motore, i freni e le gomme e la direzione da prendere per arrivare in fretta a destinazione. Ma se la cura degli interni è certosina, la guida è persino meglio. Rispetto alle precedenti è su un altro pianeta. Non capisco come la si possa definire una supercar “junior”, secondo me è semplicemente una supercar fatta e finita.

È sensibilissima e servono riflessi estremamente pronti per sfruttarla al massimo. Il pedale dell’acceleratore è così sensibile che un millimetro fa la differenza. E lo stesso vale per lo sterzo, che comanda l’anteriore ricchissimo di grip. Il cambio a doppia frizione è il migliore oggi sul mercato e sale e scende di marcia in maniera fluida ma spettacolare. La Ferrari poi si è finalmente decisa a montare dei paddle abbastanza lunghi da permettervi di cambiare in uscita di curva.

La 458 sembra più bassa e larga della 430 e il rollio è quasi totalmente assente. Volendo è possibile far perdere grip posteriore ma non è detto che lui obbedisca quando volete voi. Fortunatamente i controlli sono così reattivi che è facile riprendere la sbandata o lanciarsi in un traverso controllato, anche se con questo giochetto l’adrenalina sale alle stelle.

Dopo aver guidato per la prima volta la 458 sei così carico che potresti accendere una lampadina infilandotela in bocca o fare un po’ di bungee jumping per rilassarti.

Per Metcalfe è un po’ esagerata: «quest’auto alza l’asticella delle prestazioni a livelli assurdi. Non serve andare così forte per godersi una Ferrari junior». Di sicuro è un enorme passo avanti rispetto alla 430 come la 348 è stata un grosso passo avanti rispetto alla 308 e la 360 è stata un discreto passo avanti rispetto alla 355.

E se devo scegliere l’auto migliore tra le sei non c’è dubbio che la corona vada alla 458, la Ferrari più incredibile e viscerale.

Ma il bello è che lo straordinario passo e la magia della 458 non mettono completamente in ombra le altre rivali presenti oggi. Ci sono somiglianze e differenze tra loro, ma ognuna ha una sua personalità unica e ci sono ragioni razionali e irrazionali per innamorarsi di ciascuna di loro. Per esempio, il top secondo me è stato lo sterzo della 348 e proprio non me lo sarei aspettato. Il punto è che ognuna di loro rende pienamente giustizia al cavallino che porta sul cofano. E il ragazzino che c’è in me non può che esserne profondamente felice.