Game History: Da Criterion Games tanta adrenalina e tecnologia

Smartworld
di Stefano Valente

Ripercorriamo la carriera di uno dei game studio che ha fatto la storia dei racing game

Quando si parla di giochi di corsa arcade oltre all’ormai onnipresente Need for Speed, possiamo citare su due piedi Ridge Racer e il più recente Burnout.

Il successo di quest’ultima serie risiede senza ombra di dubbio nell’essere riuscita a trasmettere un’adrenalinica sensazione di velocità del tutto inedita. Improvvisamente tutti gli altri giochi di auto sembrano essere fermi.

Ma un altro tassello del successo di Burnout è il gameplay, che lega indissolubilmente i power up della vettura (boost in primis) a quante più vetture si riescono a mettere fuori pista.

La tecnologia del Renderware

Tutto questo fu possibile grazie all’enorme supporto tecnologico di cui i Criterion Games erano dotati: parliamo ovviamente del loro motore grafico, il Renderware.

Per darvi un’idea di quanto sia stato importante questo motore grafico vi basti sapere che è stato usato, nell’arco di due generazioni di console, per più di 125 giochi su qualsiasi console sul mercato tra il 1996 e il 2013.

La lista dei giochi comprende titoli non importanti, di più: Alone in the dark, Battlefield 2: Modern Combat, Crackdown, Grand Theft Auto III, Grand Theft Auto Vice City, Grand Theft Auto San Andreas, ben quattro giochi ispirati alla saga di Harry Potter, Killer 7, Manhunt, Max Payne 2: The Fall of Max Payne, ben tre Mortal Kombat, Obscure, Pro Evolution Soccer 6, S.C.A.R. – Squadra Corse Alfa Romeo dell’italiana Milestone e due Tony Hawk’s Pro Skater.

Nel 2004 mamma Electronic Arts vide del potenziale in questo studio che deteneva una delle serie in competizione con Need for Speed e una tecnologia importante come il Renderware e decise quindi di procedere con l’acquisizione dei Criterion Games.

Il resto è, come si suol dire, storia: i Criterion svilupparono altri Burnout e due Need for Speed, mentre il Renderware smise di essere utilizzato sia per anzinità che per timore da parte dei concorrenti di utilizzare una tecnologia di proprietà del “nemico”.

Vediamo ora insieme i giochi più importanti sviluppati dai Criterion Games.

Burnout

Il primo Burnout, pubblicato per Acclaim Entertainment, uscì nel 2001 su PlayStation 2 e l’anno successivo su GameCube e Xbox. L’accoglienza fu piuttosto tiedipa, specie se consideriamo la gloria attuale della saga.

Ma l’attenzione riposta sugli incidenti era solo l’inizio… 

Burnout 2: Point of Impact

Ad un anno solo di distanza arrivò il sequel, Burnout 2: Point of Impact. Le parole chiave? Più auto, più piste, più boost, più modalità!

Paradossalmente, la maggior parte delle ore spese in Point of Impact sono state sicurmente quelle nella modalità Crash, che faceva sembrare il gioco più un puzzle game che un gioco di corse, dove bisognava lanciare (letteralmente) la propria auto verso incidenti epici in situazioni preimpostate come elaborati incroci o svincoli. L’obiettivo? Fare più danni possibili. Tanto disturbante, quanto incredibilmente divertente. 

Burnout 3: Takedown

Burnout 3: Takedown non è solo il terzo capitolo di una serie. E non è solo un bel racing game. E’ un capolavoro, senza mezzi termini. Recepito il successo della modalità Crash del secondo Burnout, Criterion Games implementa il sistema di incidenti alle gare stesse.

Durante le corse era infatti possibile speronare ed eliminare i concorrenti: una volta entrati in contatto con una vettura nemica il gioco entrava in una specie di ralenti in cui era possibile controllare la traiettoria della propria macchina per assicurare il maggior danno possibile. Ad ogni vettura eliminata si otteneva un Takedown che garantiva del boost utilizzabile poi per creare delle concatenazioni di incidenti.

La velocità, mai così adrenalinica, diventava così uno strumento di eliminazione portando il gioco ad essere quasi paragonato per certi versi a Mario Kart (suvvia, non fate quella faccia). La profondità del gameplay era impressionante: anche quando si veniva eliminati dagli altri era possibile dirigere la propria macchia per pochi secondi nella direzione desiderata, permettendo al giocatore di prendersi una rivincita e di non perdere il boost.

Le corse divennero frenetiche e spettacolari, condite con una grafica impressionante, un parco vetture ampio, una selezione di piste ragguardevole, numerose modalità e una colonna sonora di tutto rispetto con molti brani celebri. 

Burnout Paradise

L’anno dopo Burnout 3: Takedown arrivò Burnout Revenge, tranquillamente classificabile come un discreto “more of the same” rispetto al predecessore. Seguì poi la volontà di dimostrare di essere in grado di fare altro oltre ai racing game con uno sparatutto discreto, Black.

Ma possiamo considerare come successore della serie Burnout Paradise, che introdusse un open-world liberamente esplorabile, un elemento che fece poi scuola e passò anche in Need for Speed

Need for Speed: Hot Pursuit e Most Wanted

Dopo anni passati sotto l’ala protettiva di Electronic Arts, ai Criterion Games fu commissionato lo sviluppo di ben due titoli della saga che per tanti anni è stata la principale concorrente di Burnout, Need for Speed (di cui vi abbiamo parlato nello speciale sulla serie).

Che vogliate vederlo come un traguardo o un’imposizione (con il momentaneo abbandono della serie Burnout) poco importa: i titoli furono un successo sia commerciale che di critica.

Cosa riserva il futuro ai Criterion Games è al momento incerto: Alex Ward, fondatore dello studio, ha lasciato Criterion per fondare un nuovo studio e al momento non ci sono titoli in sviluppo annunciati.