Davide Giugliano, l’intervista: “Butto sempre il cuore oltre l’ostacolo”

Davide Giugliano
Smartworld
di Cristina Marinoni

Il doppio incidente e il difficile ritorno in pista, il cambio di scuderia e il figlio in arrivo: il ducatista si racconta, tra passato e futuro

Se ti capitano due infortuni gravi nel giro di pochi mesi, devi essere tosto per non decidere di appendere il casco al chiodo. Come Davide Giugliano. 

Campione della Superstock nel 2011, il pilota romano aveva cominciato il 2015 male – 2 vertebre fratturate ai test a Phillip Island e Mondiale iniziato al quinto round – e terminato peggio: frattura di un’altra vertebra a Laguna Seca e stagione finita con 4 tappe d’anticipo.

La seconda caduta, come la prima, lo aveva costretto a 90 giorni di riposo eppure il 26enne rider dell’Aruba.it Racing Team è tornato in sella alla Paigale R più agguerrito che mai.

“Non mollare è nella mia natura. Mi metto alla prova con gli altri ma soprattutto con me stesso: alle spalle ho una squadra che condivide i miei obiettivi, ma in moto sono solo ed è una battaglia continua con quello che mi dicono testa, occhi, mani, piedi, che si fanno sentire a modo loro, a turno o insieme. Senza risparmiarmi, devo decidere all’istante quale strategia mettere in atto. Una responsabilità che mi prendo volentieri: in pista e non solo, mi sono imposto di buttare il cuore oltre l’ostacolo e provarci anche quando la meta sembra irraggiungibile” spiega Davide, quarto nella classifica generale della WorldSBK.

La tenacia paga: negli ultimi 4 round sei sempre salito sul podio.

“Sì, però mi manca il gradino più alto. Sulle derivate di serie sto ancora inseguendo la prima vittoria in carriera. Mea culpa: signifca che ho sbagliato approccio ma so di avere carattere e talento per vincere qualche gara, spero almeno una entro fine stagione. Man mano il feeling con il mezzo è aumentato: al debutto, quest’anno ho trovato una Panigale migliorata tantissimo sotto diversi punti di vista, ma non facile da guidare per me.

Del resto, non avrebbe potuto essere altrimenti: a causa della mia lunga assenza, Chaz (Davies, suo compagno di box, ndr) è stato l’unico pilota ufficiale della Ducati e la Panigale è stata sviluppata sulle sue inicazioni e secondo le sue esigenze.

Non esagero se dico che, quando ho aperto il gas la prima volta, è stato come provare una moto nuova”.

Che ricordi hai della lunga convalescenza?

“Mi sono alzato in peidi abbastranza presto, ma camminavo poco per non caricare la schiena. La sofferenza maggiore è stato il busto, una ‘galera’ di 90 giorni, 24 ore su 24, che mi ha segnato: mi sono reso conto della fortuna che avevo prima, quando potevo muovermi in libertà: poter correre, allenarmi, persino buttarmi sul divano.

E ho capito anche che, nel momento in cui il fisico è obbligato all’immobilità, si ferma anche la mente. Lo stress era altissimo: mangiavo poco, i muscoli avevano perso tono. Per fortuna avevo una scadenza che mi caricava: la data in cui avrei tolto il busto. Appena l’ho levato, mi sono messo sulla bilancia: dai 73 kg di peso forma ero sceso in poche settimane a 64 kg!”.

Hai trascorso un periodo davvero difficile.

“Sì, però ci penso con estrema tranquillità. Il motivo è semplice: nel mio mestiere sono inclusi anche gli infortuni e di questo non mi dimentico mai.

Sono soddisfatto di me, anzi proprio orgoglioso di come ho reagito. Dopo un incidente come il mio, tornare nel paddock è complicato: tra i piloti che hanno vissuto un’esperienza simile sono più quelli che hanno chiuso la carriera rispetto a quelli che hanno proseguito”.

E dopo due incidenti come i tuoi?

“Indossare di nuovo la tuta diventa un’impresa impossibile o quasi”.

In sella quando sei salito?

“Esattamente 101 giorni dopo la caduta del 19 luglio a Laguna Seca; 26 da quando ho tolto il busto. Ma a febbraio non mi reggevo ancora in piedi”.

Come è scoppiato l’amore per le due ruote?

A 4 anni, per caso. Io e mia sorella Paola stavamo facendo impazzire mamma, così papà ha pensato di portarci fuori per un giro.

Siamo andati in un circuito di minimoto ed è scoccato il colpo di fulmine”.

Quando hai capito che  sarebbero diventate un lavoro?

“A dire la verità non l’ho ancora capito. Nel senso che per me resta la passione più grande: in moto mi diverto da matti e ringrazio ogni giorno per l’opportunità che ho avuto. Mi impegno molto, sia chiaro, non lo prendo come un passatempo, e lo sofferenze non mancano, a cominciare da quelle fisiche.

Ecco perché ho deciso di tatuarmi sul braccio ‘Ama il tuo sogno se pur ti tormenta’. L’ho fatto dopo l’incidente a Phillip Island. Il significato? Tutti abbiamo delle paure, altrimenti non saremmo umani, ma chi nutre un sogno deve portarlo a termine, secondo me. Costi quello che costi”.

Dopo 3 stagioni, la tua esperienza con Ducati sta per terminare: correre sulla “rossa” è stato un sogno?

“Sono un ragazzo italiano, orgoglioso di esserlo, quindi sì, è stato meraviglioso. Non solo ho debuttato nella WorldSBK su una Ducati, ma nel team ufficiale: non avrei potuto desiderare di più”.

È vero che nel 2017 ti vedremo su una Kawasaki del team Puccetti Racing, all’esordio tra le derivate?

“Sto valutando con attenzione le proposte che ho ricevuto da alcune scuderie e quella di Puccetti è di sicuro tra le più interessanti. Comunicherò la scelta prima della tappa al Lausitzring (18 settembre, ndr)”.

Sei pronto per la nuova sfida?

“Sì, cambiare aggiunge ulteriori stimoli. Io e i responsabili della Ducati ci siamo messi a tavolino per parlare del futuro e ci siamo trovati d’accordo sulla soluzione di separarci. Dopo 3 anni, ho raggiunto il massimo livello: nonostante in questi mesi sia migliorato tanto, non credo di riuscire a crescere ulteriormente.

Poi ritengo che confrontarsi con persone differenti apre la mente, insegna a lavorare in modo diverso e, senza dubbio, aiuta ad alzare l’asticella.

Parlo sia dal punto di vista del pilota dia dello staff tecnico”.

A breve ti aspetta un’altra novità, che ti stravolgerà la vita.

“Tra fine settembre e metà ottobre nascerà Mattia, sarà il dono più bello della vita per me e la mia compagna Giada. Con lei spero di creare una famiglia splendida come quella da cui provengo. Io, i miei due fratelli e i nostri genitori siamo uniti da un amore smisurato: le possibilità erano limitate eppure a noi figli non è mancato nulla. Tutto merito di un papà e una mamma meravigliosi, che sono il mio modello”.

Sei pronto ad affrontare il tour de force di pannolini, pappe e  notti in bianco?

“Prontissimo! Giada e io abbiamo ponderato a lungo l’idea di allargare la famiglia e siamo coscienti dell’impegno che un bambino comporta. Ho fatto sacrifici su sacrifici per la moto: l’idea di alzarmi alle 4 del mattino per mio figlio non mi spaventa. E non vedo l’ora di tenere Mattia tra le braccia”.

(Foto: Dario Aio)