Quando la F1 non rispetta i diritti umani

Smartworld
di Marco Coletto

Dalla Spagna franchista al Bahrain: storia dei rapporto tra il Circus e i regimi autoritari

Il mondo della F1 ha sempre avuto rapporti molto stretti con i Paesi che violano i diritti umani. Secondo il Democracy Index dell’Economist (che ogni anno analizza lo stato della democrazia nel mondo) sono ben tre i regimi autoritari (Cina, Bahrain ed Emirati Arabi) che ospitano il Mondiale 2012 e solo otto nazioni presenti nel calendario del Circus possono essere considerate democrazie complete: Australia, Spagna, Canada, Regno Unito, Germania, Belgio, Giappone, Corea del Sud e USA.

Quando ci sono di mezzo i soldi la politica passa sempre in secondo piano: basta analizzare la storia della massima competizione automobilistica planetaria per capire che il legame tra le monoposto e le dittature ha radici molto profonde. Già nel 1951 l’ultimo GP della stagione si tenne nella Spagna franchista: sul circuito cittadino di Pedralbes (Barcellona) il rettilineo d’arrivo era addirittura intitolato al “Generalísimo”.  Lo stesso tracciato ospitò anche una prova nel 1954 mentre dal 1968 al 1975 (anno della morte del Caudillo) si alternarono le piste di Jarama e del Montjuïc.

Nel 1958 la città di Porto ospitò la prima edizione del GP del Portogallo, un Paese governato in modo autoritario da Salazar fino al 1968 e da Caetano fino alla Rivoluzione dei garofani del 1974. Lo stesso tracciato ospito anche una prova iridata nel 1960 mentre nel 1959 toccò alla pista di Monsanto, vicino a Lisbona.

Decisamente più lunga la relazione tra il Circus e il Sudafrica dell’apartheid. Tra il 1962 e il 1985 si tennero sui tracciati di East London e Kyalami ben 21 corse nonostante le politiche del governo fossero state più volte condannate dalle Nazioni Unite. La segregazione razziale terminò nel 1990 con la liberazione di Nelson Mandela ma è curioso che l’ultimo GP in questo Paese si sia disputato nel 1993, l’ultimo anno prima del ritorno ufficiale alla democrazia.

Anche la dittatura militare del Brasile, terminata nel 1984, ebbe l’occasione di mostrare al mondo il proprio lato “buono” grazie al Circus.

Dal 1973 i circuiti di Interlagos (ancora oggi sede del Mondiale) e Jacarepagua accolsero i più veloci piloti del mondo.

Il colpo di stato di Videla in Argentina non impedì al Paese sudamericano di continuare ad ospitare il Mondiale di Formula 1. Dal 1977 (l’anno dopo il golpe ai danni di Isabelita Perón) al 1981 Buenos Aires fu sede (blindatissima) del campionato del mondo.

Diverso il discorso dell’Ungheria: il circuito dell’Hungaroing debuttò in calendario nel 1986, due anni prima della fine del regime comunista di Kádár, uno dei più “blandi” tra i Paesi appartenenti al Patto di Varsavia. L’iniziativa, in questo caso lodevole, di Bernie Ecclestone permise a Budapest di avvicinarsi al mondo occidentale.