Omosessualità e auto: nella Giornata Internazionale contro l’Omofobia, un invito agli appassionati di quattro ruote

My other car is gay
Smartworld
di Claudio Mastroianni

Chi ha detto che gay e auto sono due mondi che non si incontrano? Il nostro invito a una riflessione per fermare l'odio contro chi è "diverso"

“Le auto non sono roba da gay”.

Quante volte lo abbiamo sentito dire, o magari – senza pensarci – abbiamo detto anche noi?

L’opinione condivisa da tanti – appassionati di motori e non – è che il mondo dell’auto sia un posto per gente virile, machos, uomini veri.

In questa Giornata Internazionale contro l’omofobia e la transfobia, istituita dall’Unione Europea dal 2007, vogliamo raccontarvi perché – secondo noi – queste differenze non esistono.

Anche agli omosessuali piacciono le auto

Partiamo da un concetto semplice: non c’è alcuna ragione per cui a un omosessuale non possano piacere le auto: possono piacergli (o meno) tanto quanto agli eterosessuali. Un fatto, per altro, valido in tutti i campi.

Per averne una prova, è possibile dare un’occhiata al sito americano GayWheels.com, che raccoglie news, recensioni e prove di auto compilate da appassionati LGBT – sigla che indica la comunità Lesbica, Gay, Bisessuale e Transessuale – delle quattro ruote. Un modo per raccontare il mondo dei motori tenendo d’occhio l’aspetto queer e gay-friendly del settore automotive.

Dall’altra parte dell’oceano, qui in Europa, è stato istituito invece un vero e proprio premio per la “Auto gay dell’anno” (uno dei pochi argomenti, citati anche in Italia, che i media utilizzano per collegare il mondo gay a quello dei motori).

Creato da un sito che riunisce appassionati francesi di auto d’epoca, il premio per la “Gay Car of the Year” ha visto dal 2005 numerosi vincitori che difficilmente potrebbero essere associate al concetto popolare di “auto gay”: la Mini Cabrio (2005), Aston Martin DB9 Volante (2006), Alfa Romeo Spider (2007), FIAT 500 (2008), Alfa Romeo Mi.To. (2009), FIAT 500C (2010), Peugeot RCZ (2011) e per finire la Citroen DS4 nel 2012. Macchine, tutte, molto apprezzate dal mercato.

Avremmo mai detto “Aston Martin”, l’auto del virilissimo James Bond?

Il tabù dei driver gay

Ma c’è un settore in cui l’omosessualità è ancora un tabù: quello dei piloti.

Il mondo dello sport, si sa, è decisamente maschile: adrenalina, velocità, potenza.

Come nel calcio in Italia, e negli altri sport in Italia e all’estero, la presenza di omosessuali dichiarati è ancora una rarità. Un tabù, appunto.

Lo stesso vale negli sport legati ai motori.

Esistono però le eccezioni. Come Evan Darling, pilota 43enne apertamente gay fin dai suoi 18 anni. Dalle BMX alle moto, arrivando al NASCAR (campionato decisamente lontano dal concetto di “gay-friendly”), Evan si è ritagliato uno spazio di rilievo nel settore delle corse ottenendo anche vittorie in circuiti importanti come quello di Daitona e di Sebring.

Nonostante le vittorie, però, per Darling il mondo delle corse professionali non è certo facile: “Da quando sono diventato professionista, alcuni team hanno cominciato a parlare male alle mie spalle. Sono dei deboli, non ti criticano faccia a faccia: se gli chiedi se c’è qualche problema rispondono di no, ma poi vieni a scoprire tutto quello che dicono alla tua schiena. Funziona così, ma a me non importa: sono felice così come sono, sto bene con me stesso e credo che tutti dovrebbero fare altrettanto”.

Il peso delle parole

Ma anche fra gli appassionati di auto, sicuramente senza rendersene conto, l’omofobia è ancora diffusa.

Basta dare un’occhiata alla Rete, e ai commenti che a volte accompagnano i nuovi modelli dei vari brand: “Che auto da gay!”, in relazione ad auto di cui non si apprezza la linea.

Un utilizzo dispregiativo che affianca al termine un significativo negativo, di debolezza e sgradevolezza: auto “da femminucce”.

Sarà capitato a tanti di dirlo, molto probabilmente senza farci caso. Perché il termine è culturalmente negativo, usato da tutti in questo modo.

Per ovviare a questo problema, negli Stati Uniti è nata la campagna “Think B4 U Speak” per sensibilizzare – soprattutto i più giovani – a un utilizzo consapevole delle parole. Coscienti che queste ultime possono avere un effetto negativo sulle persone omosessuali e sulla percezione che la società ha di loro.

Come cambiare le cose?

Cosa si può fare, quindi, per risolvere il problema?

Sicuramente, si può provare a fare più attenzione alle parole usate, fra amici e conoscenti, ma anche su Internet e in piazza, dove capita che i toni diventino accessi (specie nelle discussioni).

Un piccolo gesto che può contribuire a distendere gli animi e a migliorare la vita di tanti omosessuali, direttamente e indirettamente.

Nell’attesa che la società sia pronta ad accettare che, anche nel mondo dei motori, gay o etero non fa differenza.