Lamborghini Aventador J: una notte al museo

Smartworld
di Henry Catchpole

La Casa di Sant'Agata è tornata a fare quello che sa fare meglio: le GT stradali più incredibili del mondo

I ladri gentiluomini che rubano per puro piacere mi hanno sempre affascinato. Personalmente non ho mai rubato nemmeno una caramella e sono tutto fuorché avido, ma immagino che debba essere molto eccitante. Ovviamente per essere dei veri “gentiluomini” non si deve fare del male a nessuno e magari riportare pure il maltolto dopo il colpo. Questo stile di vita alla Lupin (salvo per la restituzione della refurtiva) sembra divertente: potrei iniziare rubando la Lamborghini Aventador J anche solo per una notte… Sarebbe un colpo fantastico, forse addirittura il colpo perfetto.

L’occasione ce l’avrei: da solo nel Salone di Ginevra, a mezzanotte, molte ore dopo che giornalisti, PR, standiste e tutto il resto se ne sono andati a casa, sembra di aver violato il caveau di una banca. Mentre guardo affascinato questa composizione quasi cubista di linee e spigoli e mi chiedo come sarà da guidare. Mi prudono le mani dalla voglia di mettere a segno questo colpo spettacolare. Portarla via dallo stand, varcare i confini della Svizzera, girare per un paio d’ore sulla Route Napoléon e poi tornare a Ginevra prima che il Salone riapra i battenti. A quel punto la Lambo sarebbe di nuovo al sicuro nel suo stand e l’unico indizio della mia gitarella notturna sarebbero la carrozzeria sporca di polvere e fango e un numero diverso sul contachilometri.

Appendice J

La Aventador J è un esemplare unico. La sigla del nome si riferisce all’Appendice J, la sezione del regolamento FIA che riguarda l’omologazione sportiva, la stessa che 40 anni fa si è occupata di una specialissima Miura in esemplare unico creata dal leggendario collaudatore Lamborghini Bob Wallace. A Sant’Agata la lettera J è trattata con il massimo rispetto, più ancora della M a Monaco e della RS a Zuffehausen.

Non per niente, se provate a dire J in spagnolo diventa Jota. Vi ricorda qualcosa?

Come la leggendaria Miura Jota, questa Lambo non è una concept di cartapesta. È completamente funzionante e, incredibilmente, stando alla Lamborghini è «omologata per il mercato europeo» (anche se non riesco proprio a immaginare come…).

Sotto la livrea rosso metallizzato si nasconde una Aventador standard. Il motore quindi è lo stesso V12 6.5 da 700 CV e 690 Nm di coppia e il cambio è un sette marce a frizione singola ISR (Independent Shifting Rod). Il peso si mantiene basso grazie alla rimozione del tetto, assestando il rapporto potenza-peso a 470 CV/tonnellata: cifre che fanno tremare la Zonda F e sono non molto distanti dalla Veyron Grand Sport. La Lambo per ora ha voluto tenere segreta la velocità massima ufficiale, dicendo solo che supera i 300 km/h.

Sviluppo Lambo

Ma la velocità più impressionante è quella del suo sviluppo. A metà gennaio, a poche settimane di distanza dal Salone di Ginevra la Lamborghini ha deciso, con un tempismo molto italiano, che le serviva un’auto che calamitasse l’attenzione del Salone. 42 giorni prima che a Ginevra aprissero i battenti la J era poco più di uno schizzo su un foglio. C’è gente che non ha dormito per settimane per arrivare allo stupefacente risultato che ho davanti ai miei occhi stasera.

Non si è trattato solo di segare via il tetto. Più osservo la nuova Lambo, con le sue linee, gli alettoni e le alette che gettano un’ombra spigolosa sul pavimento dello stand, più mi sembra incredibile. L’enorme diffusore posteriore con i quattro terminali di scarico esagonali è straordinario, ma la cosa che più mi colpisce è il frontale, con i deviatori di flusso verticali tricolori ai due lati dello splitter: è così aggressivo che sembra pronto ad attaccare le rivali degli stand vicini.

Di profilo la J ha una linea da manuale: sembra andare a 350 all’ora anche da ferma. È tesa e pronta a scattare, a fendere l’aria come la freccia di una balestra.

Quest’auto è il trionfo del carbonio, di ogni genere di carbonio. I sedili per esempio sono in composto forgiato, un mix di fibre e resina prodotto solo dalla Lamborghini e dall’azienda di golf Callaway. L’ho visto per la prima volta sulla concept della Sesto Elemento del 2010 (e su una mazza da golf che neanche a farlo apposta si chiama Diablo Octane) ma è la prima volta che viene usata su una stradale. Sulla plancia invece c’è quella che alla Lambo chiamano Carbon Skin: è formata da fogli di fibra di carbonio trattato con una resina speciale che lo trasforma in un materiale con caratteristiche simili alla pelle.

Fascino aperto

Devo confessare che prima di vedere la J non ero sicuro di cosa aspettarmi da lei. Temevo fosse troppo ostentata, un’auto da sceicchi tutto fumo e niente arrosto, o comunque concentrata più sull’estetica che sul vero divertimento al volante. Ma adesso che so quale lavoro c’è dietro cambia tutto. All’improvviso lo specchietto retrovisore attaccato al cofano non è solo un’affascinante scultura ma ricorda un’Alfa 33/3 della Targa Florio. Quando mi infilo al posto di guida (prima mi tolgo le scarpe e metto un maglione tra me e il sedile, per non rischiare di rovinarlo) e sfioro quei paddle lunghissimi, mi viene una voglia matta di assaporare l’effetto della velocità in pieno viso a 150 km/h, col sound del V12 che rimbalza contro le pareti di una montagna.

Anche fermi su una pedana rotante di uno stand, con la J ci si sente con i capelli al vento.

Sembra uno di quei sogni in cui ti ritrovi ad andare in giro nudo e tutti ti guardano. La J non è come la Lotus 2-Eleven, con la carrozzeria che ti abbraccia e ti coccola. È molto più aperta. Non si tratta solo della visuale anteriore ma anche del panorama che ti scorre accanto a tutta velocità.

Occhi aperti

Qualche ora fa ho chiesto a un progettista Lamborghini se l’avesse mai guidata.

«Sì» mi ha risposto.

«Beh, com’è?», ho chiesto io.

«Fantastica!», ha detto con un sorriso. «È come stare su una moto con due sedili. Si sente la velocità, l’accelerazione, il vento sulla pelle. Ed essendo così leggera, la differenza in curva si nota».

Purtroppo quel progettista sarà uno dei pochi che avranno mai l’occasione di guidare la J, perché è un esemplare unico e come se non bastasse è già stata venduta. A quanto sembra qualcuno ha sborsato 2 milioni di euro senza nemmeno vederla. Spero che non la facciano sparire in qualche garage sotterraneo o in un museo privato. È stato un privilegio passare queste poche, preziosissime ore in compagnia della J, anche se ferma in uno stand. Ma non sono queste le condizioni ideali per ammirarla in tutta la sua bellezza e aggressività. Merita di vedere la luce del giorno, di infilarsi in un tunnel tra le strade di montagne, di divertirsi sul passo del Sempione e sul percorso storico della Targa Florio.

E allora se quel fortunato e ricchissimo proprietario non tratterà la Aventador J come merita e la chiuderà da qualche parte negando al mondo il piacere di ammirarla, credo proprio che dovrò tirar fuori il Lupin che c’è in me e trasformarmi in un ladro gentiluomo.