McLaren MP4-12C vs Ferrari F40

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Hanno molto in comune, incluso il V8 biturbo

La McLaren MP4-12C e la Ferrari F40 rappresentano due modi diversi di intendere il concetto di supercar: la prima, moderna e tecnologica, è il massimo esempio di piacere di guida di questo decennio mentre la seconda – tipicamente anni ’80 – è brutale come poche altre. Queste due vetture, apparentemente lontane, hanno tuttavia un elemento in comune da non sottovalutare: un motore V8 biturbo.

McLaren MP4-12C

La coupé britannica monta un propulsore 3.8 a doppia sovralimentazione in grado di generare una potenza di 600 CV. Le prestazioni sono davvero impressionanti: 330 km/h di velocità massima e 3,3 secondi per accelerare da 0 a 100 km/h.

Ferrari F40

La “nonna” della Enzo, nata nel 1987, ospita un 3.9 da 478 CV in grado di spingere la vettura fino ad una velocità massima di 324 km/h e di farla accelerare da 0 a 100 km/h in 4,1 secondi. Le sue quotazioni attuali oscillano tra 450.000 e 700.000 euro.

McLaren MP4-12C vs Ferrari F40: turbo contro

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di Richard Meaden

Hanno molto in comune, incluso il V8

Sembra impossibile, eppure la Ferrari F40 è con noi già da 25 anni. È un tempo lunghissimo per un’auto capace di conquistarti al primo sguardo, oggi come allora. Quando Andy Wallace la parcheggia accanto a me, sorridendo dentro quell’inconfondibile cuneo rosso, rimango a bocca aperta esattamente come quando a sedici anni la vidi per la prima volta. È sempre lei la stradale più veloce e aggressiva del mondo.

Qualche istante dopo arriva un’altra supercar a motore centrale. La super tecnologica McLaren 12C, anche lei mossa da un V8 a doppio turbo e con un pedigree da Formula 1, sembra la fredda antitesi alla brutale F40 ma sono proprio queste differenze – insieme alle somiglianze fondamentali – che la rendono una rivale perfetta per questo testa a testa celebrativo dei 25 anni della F40. E, per ironia della sorte, hanno entrambe lo stesso proprietario, il generosissimo Albert Vella.

Ci si avvicina alla F40 con un mix di riverenza, apprensione ed eccitazione infantile. Di lei e della sua linea stratosferica pensi di sapere tutto, ma ogni volta che la rivedi scopri dettagli nuovi e una spettacolarità che non immaginavi possibile. Come sempre succede con i capolavori, più la guardi più ti sembra semplicemente incredibile.

Alcuni dettagli sono da vera auto da corsa, come i cerchi aerodinamici con tanto di coppiglie di blocco per il monodado centrale. La portiera si apre con uno scatto secco e sembra così leggera e fragile che rischia di staccarsi dai cardini se non si fa attenzione. Il battitacco è largo e alto, diverso da quello di qualsiasi altra stradale, con un gradino scavato nella struttura per permettervi di salire a bordo.

Il sedile da corsa in tessuto rosso è abbastanza sostenitivo, mentre la posizione di guida è un po’ disallineata e strana.

Non sono proprio un gigante ma con la testa sfioro il tetto e sono un po’ troppo vicino al montante del parabrezza. Bisogna avvicinare il sedile al volante inclinato per assicurarsi di arrivare ai comandi, una volta allacciate le cinture, ma soprattutto per permettere al piede sinistro di arrivare bene alla frizione.

Si infila la piccola chiave nel blocchetto di accensione, ci si sofferma a guardare la plancia, strana ma fantastica in quel tessuto blu, e ad ascoltare la pompa della benzina che canta la sua canzone dietro le spalle. Si afferra il pomello cromato del cambio scuotendolo per assicurarsi che sia in folle, poi si preme il pulsante gommato dell’accensione. Dopo un leggero borbottio dello starter, il V8 biturbo si risveglia con un latrato prima di assestarsi a un minimo esuberante. Il pedale dell’acceleratore è fermo quasi quanto quello della frizione e richiede una certa decisione. A questo punto basta solo asciugarsi le mani sudate sui jeans, premere la frizione, infilare la prima spostando la leva del cambio di lato e indietro, per poi lasciare lentamente la frizione cercando di partire in maniera fluida.

La F40 richiede molta concentrazione. Lo sterzo, pesante a velocità di parcheggio, una volta in movimento è agile e reattivo, strattona e si agita su dossi e sconnessioni che passerebbero inosservati con un’auto qualunque. Sembra di stare seduti sopra l’avantreno, una sensazione che amplifica l’iperattività dell’anteriore. Quando si toglie una mano dal volante per cambiare marcia, l’altra istintivamente vi si aggrappa con più forza. Questa macchina è un concentrato di energia nervosa. Ovviamente serve un po’ di tempo per imparare a interpretare i messaggi della F40 e allentare un filo la presa sul volante senza rischiare di finire dentro una siepe, e ancora più tempo per trovare la sicurezza necessaria ad aprire il gas e lanciarla a una velocità decente.

All’inizio non succede niente, e il motore gira imbronciato e soffocato mentre il V8 2.9 si riscalda.

Poi i due turbo IHI iniziano a spingere e la F40 schizza in avanti con le gomme posteriori che riescono a malapena a contenere tutta quella potenza senza perdere trazione mentre l’anteriore si solleva leggermente. Questo è il momento in cui l’esperienza al volante della F40 si trasforma in un vortice di follia turbo sottolineata dalla colonna sonora violenta e cattiva del motore, mentre la lancetta del tachimetro percorre in un batter d’occhio gli ultimi 2.000 giri. Un attimo dopo ti ritrovi tutto sudato e con gli occhi sgranati, mentre i sensi pian piano iniziano ad afferrare quello che sta succedendo, con il piede destro che si solleva leggermente e un sorriso folle e adrenalinico che ti si stampa in faccia. A questo punto probabilmente starete ridendo e quasi certamente anche tirando qualche parolaccia, mentre la F40 si unisce al coro con scoppiettii, borbottii, latrati e fiammate dagli scarichi. Una meraviglia.

La più grossa sfida e anche l’emozione più grande è cercare di trasformare in un’esperienza un po’ più omogenea queste divertentissime sparate frammentarie e indiavolate, questi calci che la F40 ti tira nella schiena lanciandoti verso l’orizzonte.

Quando lo dico a Vella lui sorride: sa benissimo di cosa parlo. «C’è qualcosa di speciale nel sentire tutta quella spinta che monta dietro di te, vero? E te la godi di più con il cambio manuale. Adoro quel ronzio che si sente ogni volta che si sale di marcia e che il turbo entra in azione e spinge sempre di più. Il problema è che non ci sono tante strade che ti permettono di sentire quel ronzio in quarta, figurarsi in quinta!».

Ha ragione. In terza non solo vedi la curva davanti a te che si avvicina a velocità inaudita, ma non puoi fare a meno di sbirciare nello specchietto retrovisore, aspettandoti di veder comparire una volante della polizia pronta a stracciarti la patente.

Il turbo è come una droga: non appena la spinta si esaurisce vuoi ripetere tutta l’esperienza e così, appena si presenta l’occasione, cedi alla tentazione, pestando sull’acceleratore. Quando si tratta di pura forza accelerativa non c’è niente all’altezza della F40 a tutto gas.

Non ci si stanca mai della spinta del turbo, questo lo sappiamo. Ma la cosa più gratificante è scoprire che se non spingi il pedale destro fino a fine corsa, ma ti fermi un paio di centimetri prima, la F40 ha anche un lato tranquillo, ed è una vera sorpresa. Ok, stiamo parlando di una guida rilassata su una stradale da corsa senza aria condizionata e con i controlli che hanno un peso reale, meccanico, e non creato ad hoc dall’elettronica, ma ci si può comunque andare in giro a un buon ritmo senza la spiacevole sensazione che al primo errore ti stampi contro un muro. Sembra un’auto con cui poter fare tanta strada senza problemi, come mi conferma Vella, rivelandomi che ci è andato fino a Montecarlo, Roma e persino Malaga e facendo 17.000 km in sei anni.

I freni sono poco potenti ma progressivi. Non sembrano particolarmente resistenti se li si strapazza, perlomeno rispetto a quelli montati sulle auto di oggi, ma di sicuro sanno come fermarvi. Il cambio manuale a cinque marce ha una qualità che solo le Ferrari di una certa epoca possono permettersi: è sostanzioso, sensibile, deciso e un po’ duro appena si toglie la marcia, ma mentre si sposta la leva lungo la gabbia diventa più agile per poi tendersi nuovamente quando si infila la marcia successiva.

Nonostante la furia della F40, quando entra in gioco il turbo si tende ad adottare uno stile di guida misurato e concentrato.

Nel salire di marcia le cambiate devono essere precise e decise per contrastare il calo di regime – e della spinta del turbo – quando si infila la marcia successiva. In frenata e in scalata, invece, si ha l’occasione di sfoggiare un po’ lo stile di guida da vecchia scuola, modulando la pressione sul pedale centrale e posizionando il piede in modo da poter dare qualche colpetto di gas. È una sfida che ti obbliga a rimanere totalmente concentrato sull’auto, sui suoi bisogni e sulle sue reazioni. Da questo punto di vista, guidare la F40 a buon ritmo ti insegna che lo sforzo e l’impegno vengono ripagati. Con la Ferrari più dai e più ricevi.

Con la 12C ci vuole meno delicatezza e il rituale pre-partenza è diverso. Anche lei pretende tutta la vostra attenzione – e quella livrea arancione fosforescente di sicuro aiuta – ma ha un’aria più raffinata e meno combattiva. Scorrendo le dita sulla maniglia touch-sensitive la portiera si solleva in avanti nel caratteristico stile diedrale della McLaren. Il battitacco, che fa parte della monoscocca in carbonio, è più alto di quello della Ferrari ma salire a bordo è più facile.

A confronto con gli interni incredibilmente spartani della F40, la 12C è molto più convenzionale e logica. A livello ergonomico è perfetta. Si vede che è pensata come stradale e non come sportiva da pista pura. E mentre con la F40 sembra che a Maranello si siano dimenticati di dotare l’abitacolo di elementi indispensabili a un essere umano, la 12C è stata progettata intorno al pilota. Si sta seduti esattamente dietro al volante, i piedi sono perfettamente allineati con i pedali destro e sinistro, il che – come mi fa notare Wallace – lascia intendere che alla McLaren vogliono che freniate col sinistro.

Come succede con gran parte delle supercar moderne, si passano i primi minuti cercando di capire dov’è lo starter, come trovare le marce e come funzionano le varie modalità.

Da questo punto di vista sembra di smanettare con un nuovo smartphone invece che di prendere confidenza con una supercar da 600 CV e 330 km/h.

Il motore si accende dolcemente e senza tanti fuochi d’artificio, ma se si dà un po’ di gas si sente il turbo che si carica. Partire è un gioco da ragazzi: basta semplicemente tirare il paddle destro (o spingere il sinistro, alla Hamilton) e premere delicatamente l’acceleratore. Dopo l’ondata tumultuosa di feedback della F40, la 12C è pura serenità. Lo sterzo è pulito e trasmette solo le informazioni che contano, non è vivacissimo ma nemmeno inerte, isola dalle imperfezioni della strada senza sacrificare il collegamento tra voi e l’asfalto.

Con la modalità più rilassata di aerodinamica e trasmissione, la 12C è ultracivilizzata, ha le reazioni morbide e la guidabilità di una BMW serie 5. Ma se si sceglie una modalità più aggressiva sul manettino, la McLaren tira fuori le unghie. Si ha la netta sensazione che ogni singolo comando si tenda per regalare prestazioni più incisive. Lo sterzo diventa più reattivo, le sospensioni si irrigidiscono, il motore spinge di più e prima e la trasmissione manda a segno le cambiate come colpi di fucile.

All’inizio è divertente stare dietro la F40 e guardarla divorare la strada, con le gomme che cercano disperatamente la trazione quando il motore scarica a terra tutta la sua potenza. Poi Wallace grida «basta!» e tira un sospirone. La McLaren deve rimboccarsi le maniche per non farsi seminare dalla Ferrari, ma in un viaggio di trasferimento di parecchi chilometri il comfort, l’immediatezza e le prestazioni della 12C fanno sentire sorpassata la pur gloriosa F40.

È eccitante? Assolutamente sì, quando si trova un tratto di strada sgombro e si riesce a scatenarla come merita.

La differenza è che dove la F40 ti dà un abbraccio da orso e un calcio nella schiena ma tra una marcia e l’altra ti lascia respirare, la 12C ha un’insistenza da boa constrictor e ti toglie il fiato. Non si riesce a credere alla velocità che puoi toccare tra due curve, e soprattutto a quella dentro le curve. È come guidare con le slick e gli alettoni su una strada pubblica. Il problema è che per poter scatenare questo genere di prestazioni bisogna chiedere molto. Non alle proprie doti di guida, perché la 12C è facilissima da governare a velocità di tutto rispetto, ma alla propria disponibilità a guidare a velocità da pazzi e non solo per pochi, intensi istanti. Per come la vedo io questo è il progresso.

Conclusione

Prese singolarmente, entrambe queste auto hanno un look da rockstar e prestazioni da cardiopalma. Insieme sono semplicemente sensazionali. Ovviamente sarebbe stato fantastico scatenarle nello scenario mozzafiato delle Alpi o in qualche altro posto altrettanto scenografico, ma non è necessario: sono così stupefacenti che rendono magico qualunque tratto di asfalto, persino una stradina di campagna qualunque.

Che conclusione possiamo trarre dopo aver passato una giornata con questi due bolidi? Prima di tutto non c’è dimostrazione più evidente dell’enorme passo avanti nel campo della tecnologia – elettronica, trasmissione, gomme,freni e telaio – che guidare la McLaren sullo stesso tratto di strada che si è appena affrontato con la F40. La sua competenza e le sue capacità sono stupefacenti.

Se questa è la prima lezione che si impara mettendole a confronto, la seconda è che se sei al volante della F40 di tutto questo non ti importa un fico secco. La ricerca della perfezione della McLaren ha creato un’auto che mette a tacere anche le peggiori sconnessioni senza essere mai noiosa, ma le emozioni che trasmette dipendono molto dalla vostra disponibilità a guidarla a velocità da galera.

Non basta aprire completamente il gas in una marcia: le sue maniere restano troppo omogenee, così come l’ambiente di guida è troppo convenzionale per essere un evento di per sé.

Eppure la tecnologica MP4-12C ha tutte le carte in regola per essere la supercar definitiva della nostra epoca. È ironico, quindi, che serva la F40 – rude, selvaggia e senza compromessi – per ricordarci che cosa stiamo sacrificando sull’altare della capacità e della competenza.

L’ultima parola su quello che distingue davvero questi due bolidi la lasciamo all’uomo che le possiede entrambe. «Le adoro tutte e due», dice Albert, «ma so che non mi separerò mai dalla F40 mentre quando ho comprato la MP4-12C sapevo che l’avrei venduta quando si fosse presentato qualcosa di meglio. Detto così sembra che non sia così pazzo di lei, invece mi piace tantissimo. È solo che per me non ha lo stesso valore e significato della F40.

La McLaren mi ha trattato molto bene e il modo in cui gestiscono gli aggiornamenti è perfetto. Capisco che cosa stanno cercando di fare come Casa e so che qualcosa bolle in pentola. La 12C è incredibile ed è soltanto l’inizio.

La F40 invece è completamente diversa. Le emozioni che provo al volante sono le stesse di quando l’ho comprata nel 2006 (e anche solo guardarla è emozionante). Ci faccio un giretto la domenica mattina e quando torno sono tutto sudato, eccitato e in fibrillazione. È un’esperienza intensa. Poi la parcheggio, osservo le auto accanto a lei e penso che nessuna di loro è in grado di farmi provare le sue stesse emozioni. A essere onesto credo che nient’altro al mondo ci riuscirebbe!».

Bene, siamo in due.