Renault Spider: una vita all’ombra

Renault Spider
Smartworld
di Henry Catchpole

A metà anni Novanta le è stata preferita la coetanea Elise. Ma se lo meritava?

LA LOTUS ELISE MK1 si è macchiata di un orrendo delitto. Sarà anche leggera e delicata di sterzo ma è un’assassina spietata e ha le mani macchiate dell’olio ancora caldo di un’altra piccola, innocente sportiva. La sua vittima è la Caterham 21. Ma non ha riservato un trattamento tanto migliore nemmeno alla Renault Sport Spider

La Spider – nome in codice “progetto W94” – è stata presentata al Salone di Ginevra del 1995 e ha debuttato sul mercato un anno più tardi, quando il team di F1 Williams Renault era al top nel circus con le sue auto progettate da Newey. L’idea, sensatissima, era quella di sfruttare i successi sportivi e il boom di veicoli degli anni Novanta. Ma mentre la Lotus ha veduto più di 10.000 Elise Serie 1, tra il 1996 e il 1999 sono stati costruiti solo 1.685 esemplari di Sport Spider. E mentre la Elise conquistava il titolo di Performance Car dell’anno nel 1996 e vinceva l’handling test della rivista Car, la Renault Sport Spider non è nemmeno arrivata in finale. Forse se la creatura di Norfolk non fosse esistita, la RSS avrebbe avuto più successo. O no?

Personalmente, ho un debole per le sportive piccole, leggere e poco pratiche. Sono un concentrato di divertimento, una Seven o una Atom sono sempre in grado di dipingermi un sorriso come nemmeno una supercar riuscirebbe a fare. Essendo sportiva, piccola e leggera, quindi, la Renault Sport Spider ha tutti i requisiti per piacermi. Ma l’unica volta che l’ho guidata in passato è stato per cinque minuti al lancio della Mégane 225 F1 Team nel 2006 e ricordo che sono bastati 5 km o giù di lì per rendermi conto che il suo sterzo pesantissimo e non assistito richiede spalle e bicipiti da giocatore di football (nel caso ve lo stiate chiedendo, non sono un giocatore di football.

Le poche volte che ci ho provato me ne stavo ai bordi del campo e guardavo la palla come se fosse una bomba a mano pronta a esplodere). È stata un’esperienza curiosa, un po’ come cercare di sollevare una scatoletta da terra e scoprire che è in cemento armato e rischi di slogarti una spalla. Mi ha lasciato con la voglia di guidare ancora questa belva rara e affascinante, stavolta su strade come si deve, e cercare di capire meglio il suo carattere.

Guardando le foto, scommetto che la prima cosa che avete pensato di questa macchinetta blu è: «perché ha il parabrezza? Pensavo che avessero tutte quell’antipatico deflettore d’aria che ti riempie occhi e bocca di moschini». La risposta è che tutte le 96 Spider costruite per la Gran Bretagna avevano il parabrezza di serie (e costavano 8.000 euro più della Elise). Questo esemplare è un’auto stampa originale e ha fatto soltanto 7.000 km. Il parabrezza c’è ma i finestrini mancano, così come il riscaldamento, il tettuccio poi è un pezzo di telo in stile tenda da campeggio che non si può usare sopra i 90 km/h. Mi capirete quindi se in questa fredda mattina in cui ho dovuto grattar via il ghiaccio dal tettuccio per poter arrivare alla portiera e infilare la mano all’interno per aprirla (sul lato esterno non ci sono le maniglie) ed entrare non ho proprio tanta voglia di farmi tre ore di autostrada con la Renault Sport Spider.

Prima di partire ho dovuto fare un piccolo aggiustamento: togliere il cuscino dai Recaro per non dover guidare con la cornice del parabrezza in mezzo agli occhi. Persino Richard “tappetto” Meaden, quando l’ha guidata nel 1996 si è lamentato che la Spider sembra progettata per un nano.

All’epoca Richard ha anche avuto la “fortuna” di guidarne una con il deflettore e ha commentato così l’esperienza: «in autostrada avevo le palpebre che sventolavano come due tende rosa in mezzo all’uragano».

Tutto intabarrato come un marinaio transoceanico durante una tempesta riesco a sfrecciare sulla M1 senza congelarmi, anche se i piedi non se la passano tanto bene e quando arrivo a Pickering da Dean Smith con la sua RS4 sono duri come il marmo. Dopo aver fatto il pieno e aver guardato la cartina nel tepore dell’Audi per dieci minuti buoni (so benissimo dove devo andare ma quando sono sceso dalla Spider mi cedevano le gambe, così ho pensato che i miei piedi avessero voglia di scongelarsi un po’) puntiamo verso il Blakey Ridge nel cuore delle North York Moors. È una strada a cui associo ricordi piacevoli: ci ho guidato sia la Elise Mk1 sia la Mk2 per un articolo sette anni fa.

Mentre filiamo sulla A170, all’improvviso mi rendo conto che cosa mi ricorda la Spider: una mini Lamborghini V12. Non sto scherzando: immaginate una macchina a motore centrale con le portiere che si sollevano verso l’alto e le cinture di sicurezza così arretrate che dovete fare le contorsioni per arrivarci. I casi sono due: o stiamo parlando del toro di Sant’Agata o del ragnetto di Dieppe. Con quella sua carrozzeria larga e piatta che sembra finita sotto una pressa, la Spider ha un look quasi all’altezza di una supercar. Ha un che da Alpine, più che appropriato, considerando che è stata costruita nella fabbrica della Alpine a Dieppe. È un peccato che il rollbar spunti così dritto e così in alto rovinando l’estetica da concept car.

Sul cruscotto ci sono tre quadranti con la pressione dell’olio, il regime del motore e la temperatura dell’acqua.

Se volete sapere a che velocità state andando, dovete spostare lo sguardo sulla plancia finché non trovate il tachimetro digitale (preso dalla Twingo originale) che però è un po’ lento ad allinearsi alla velocità effettiva. Più in là, l’occhio cade su una sezione saldata del telaio in alluminio. È una grossa struttura, molto più grezza e industriale dello spigoloso telaio – anch’esso in alluminio – estruso e incollato della Elise. La storia vuole che quando un esperto ha visto il telaio nudo della Renault sia rimasto così stupito dalle sue dimensioni che ha pensato che ci doveva essere un errore, di sicuro non si trattava di quello vero ma della forma usata per costruirlo.

Dopo il paesino di Hutton-le-Hole la strada comincia a salire. Quando scollina ci troviamo di fronte alla più spettacolare distesa di erica che io abbia mai visto, solcata da una sottile striscia di asfalto che si perde all’orizzonte. Qua e là in lontananza ci sono chiazze di neve e ogni tanto una prende e si sposta: sconcertante, poi ti accorgi che non si tratta di neve ma di pecore… La superficie è sconnessa e piena di buche come la classica stradina di campagna ma le sospensioni a doppi bracci con molle Bilstein della Spider la affrontano come nulla fosse. È scioccante con quale controllo e compostezza la Renault scivoli su questa specie di groviera: è fin troppo solida e docile per essere una sportiva ridotta all’osso.

Inizialmente, il grosso volante a tre razze si adatta alla docilità delle sospensioni, evitando strattoni o scatti improvvisi. Ma non appena lo giri per infilarti in curva, diventa subito più sostanzioso, inondandoti di informazioni e trasferendo istantaneamente gli input alla macchina, che sfreccia a destra e a sinistra senza esitazioni.

Bastano movimenti millimetrici per seguire la strada tutta curve. Il grip laterale è prodigioso e la Spider affronta le curve attaccata all’asfalto, proprio come ci si aspetta da una macchina così bassa e larga. Anche quando mi infilo a tutto gas in una curva con tanto di dosso per sollevare la ruota interna (per far scattare a Dean una foto spettacolare), la Spider si rifiuta di abbandonare la traiettoria prescelta. L’unica occasione in cui devia leggermente dal tracciato è quando si frena in ritardo in curva, dove il peso posteriore – sfruttando l’inerzia – potrebbe creare qualche difficoltà.

Lo sterzo è un filo più leggero di quello dell’esemplare che ho guidato anni fa, soprattutto a bassa velocità, dove non servono bicipiti da palestrato per convincere l’auto a girare. È merito delle gomme, che non sono più le Michelin Pilot originali ma le meno aggressive Michelin Primacy HP. È un cambio favorevole, perché il grip non ne ha risentito ma lo sterzo ci ha guadagnato in leggerezza e vitalità.

Il pedale centrale è un po’ troppo pesante. La prima volta che ci pesti con troppa decisione vai in panico perché la risposta è debole, come se non ci fosse un servofreno. Devi avere una presa ferma e spingere sempre di più, spremendo a poco a poco la forza frenante, come se strizzassi uno straccio umido. Quando però ci hai fatto l’abitudine, ti rendi conto che in realtà i freni sono sensibili e piacevoli da usare. Il cambio a cinque marce invece è tutto fuorché piacevole: forse dipende dal fatto che quest’auto stampa ha avuto una vita dura, ma infilare la terza e la quinta è un’impresa e anche quando pensi di avercela fatta spesso la marcia esce non appena togli il piede dalla frizione.

Poi c’è il problema della retromarcia. Davanti alla leva del cambio c’è uno schema incomprensibile che sembra uscito da un vecchio manuale di ballo. Anche quando finalmente riesco a capire che bisogna far fare un quarto di giro in senso antiorario al pomello del cambio e poi spingere la leva prima verso sinistra e poi in avanti ci metto parecchio a azzeccare la manovra. Meglio evitare di parcheggiare in retro o di fare strane manovre.

Il 2 litri trasversale proveniente dalla Clio Williams eroga 148 CV a 6.000 giri, un bella potenza considerando che la prima Elise aveva solo 120 CV. Ma la Spider pesa anche 930 kg (ben 166 più dell’Elise) e questo, insieme al notevole grip del telaio, non permette alla Spider di esprimere tutto il suo potenziale, il che è un vero peccato. Nemmeno la colonna sonora è all’altezza: per sentire una nota vagamente decente devi tirarle il collo come non mai.

Eppure, avanzando su questo nastro di asfalto tra il viola dell’erica e il blu del cielo, con il vento gelido che mi sferza il viso, la Spider è una vera goduria. E poi è rara (attualmente ce ne sono due in vendita in Gran Bretagna e la svalutazione è inferiore a quella delle prime Elise) e ha un pedigree sportivo con i fiocchi (nel suo campionato monomarca inglese hanno debuttato Plato e Priaulx). È un vero peccato, quindi, che questa Renault abbia passato la vita all’ombra della piccola Lotus.

Con quel suo sterzo e i freni non sarà all’altezza dell’agile e leggera Elise, ma è più sensibile e diretta della maggior parte delle auto oggi sul mercato. E per molti aspetti è davvero unica: tendere i muscoli mentre il telaio si aggrappa alla strada nelle curve più sconnesse e guidare l’auto con movimenti impercettibili attraverso lo sterzo pesante è un po’ come il wrestling, un wrestling di precisione.

La Sport Spider ti fa vivere quella sorta di esperienza di guida totale che poche rivali possono offrire, un’esperienza che adoro.

Scheda Tecnica

Motore4 cilindri in linea, 1.998 cc
Potenza148 CV @ 6.000 giri
Coppia184 Nm @ 4.500 giri
Trasmissionemanuale a cinque marce, traz. posteriore
Sospensioni ant.doppi bracci, molle elicoidali, ammortizzatori, barra antirollio
Sospensioni post.doppi bracci, molle elicoidali, ammortizzatori, barra antirollio
Frenidischi autoventilati da 300 mm ant. e post., ABS
Cerchi8 x 16" ant.m 9 x 16" post.
Pneumatici205/50 R16 ant., 225/50 R16 post.
Peso930 kg
Potenza-peso157 CV /tonnellata
0-100 km/h6,9 secondi (dichiarati)
Velocità215 km/h (dichiarata)
Prezzo auto nuova33.725 euro (1996)
Valore usato20-30.000 euro

Renault Spider

Smartworld

L'alternativa francese alla Lotus Elise

La Renault Spider è stata alla fine degli anni Novanta – più precisamente dal 1996 al 1999 – un’alternativa alla Lotus Elise.

Caratteristiche principali

Prodotta nella fabbrica Alpine di Dieppe in soli 2.000 esemplari e destinata anche alle gare, era una sportiva dotata di due posti e caratterizzata dal telaio in alluminio, dall’assenza del tetto e dal parabrezza disponibile esclusivamente optional.

Il motore

Il propulsore 2.0 a benzina da 147 CV della Renault Spider era lo stesso di una piccola ancora oggi apprezzatissima dagli appassionati: la Clio Williams.