Rush, la recensione del film

Smartworld
di Marco Coletto

Il miglior film di sempre a tema automobilistico, senza se e senza ma

Sarebbe riduttivo descrivere Rush come un film sulla Formula 1.

L’ultima fatica di Ron Howard è, prima di tutto, la storia di due uomini in cui le corse c’entrano ma fino ad un certo punto.

Un western in cui la frontiera si chiama limite, un lungometraggio in costume che riporta ad un’epoca che non c’è più, quando i piloti morivano come mosche sui circuiti di tutto il mondo.

Chi dice che la Formula 1 non è più grande perché sono sparite le vittime (e di conseguenza il rischio) è solo un sadico: la grandezza, allora, arrivava dalla maggiore umanità dei driver, oggi più talentuosi ma anche più “robot”.

Niki Lauda (interpretato da un magistrale Daniel Brühl – già visto in “Good Bye, Lenin!” e in “Bastardi senza gloria” – perfetto nel ricreare il carattere non facile del campione austriaco, peccato per il doppiaggio italiano che toglie l’accento tedesco) e James Hunt (impersonato da un Chris Hemsworth, meglio noto nella parte di Thor, troppo “piacione”) sono gli assoluti protagonisti di un film che vive del loro dualismo.

Rush non è un omaggio “lecchino” come l’ottimo (ma un po’ troppo di parte) documentario Senna del 2010: qui si assiste innanzitutto a due modi totalmente differenti di intendere lo sport e la vita.

La cicala contro la formica, l’abnegazione contro la spensieratezza, la costanza contro il “sentirsi arrivati”.

Si racconta la carriera dei due piloti ma soprattutto una stagione – quella del 1976 – che non è stata la più combattuta della storia della F1 (in questo caso il primato va all’annata 1984, vinta proprio da Lauda contro Alain Prost per mezzo punto) o quella più ricca di talenti (fra una ventina d’anni, o forse meno, rimpiangeremo un 2012 in cui si sono confrontati piloti come Alonso, Button, Hamilton, Räikkönen, Schumacher e Vettel) ma quella più emozionante.

Dopo una prima parte un po’ lenta – ma necessaria per far comprendere al grande pubblico poco esperto di corse il carattere dei due piloti – il film prosegue in crescendo con un montaggio serrato e una fotografia magistrale in stile anni ’70 arrivando ad un finale emozionante che può strappare addirittura qualche lacrima.

I più fanatici noteranno qualche licenza “hollywoodiana” nella sceneggiatura (ad esempio il pugno di Hunt) ma niente che possa far storcere davvero il naso.

Va detto, però, che in Rush non si fa alcun riferimento ad Arturo Merzario, il pilota che tirò fuori Lauda dal rogo del Nürburgring senza ricevere in cambio neppure un grazie se non dopo parecchi anni.

Chi non è appassionato di Formula 1 continuerà ad addormentarsi sul divano durante un Gran Premio ma non potrà fare a meno di apprezzare questo film, caratterizzato da due grossi meriti: quello di far capire al mondo il motivo per cui questo sport attira così tante persone e quello di tenere incollati davanti allo schermo per oltre due ore anche i fan del Circus che conoscono già buona parte della trama e del finale.

Voto: 9,5