Talbot Sunbeam Lotus: raggio di sole

Talbot Sunbeam Lotus
Smartworld
di Henry Catchpole

Da tiepida hatchback si è trasformata in una star delle hot hatch dominando la scena nel WRC

SE UNA CASA OGGI annunciasse l’arrivo di un modello con queste specifiche, scommetto che gli ordini fioccherebbero, le casse si rimpinguerebbero con tutti quei depositi e i forum in internet ribollirebbero: trazione posteriore, 960 kg, 150 CV, 0-100 km/h in 6,6 secondi e sospensioni sviluppate dalla Lotus. Fa venire l’acquolina in bocca, vero? Naturalmente un grande attore non basta per fare un grande film, ma se a queste specifiche aggiungiamo una manciata di vittorie nel WRC diventa ancora più difficile resistere.

La Sunbeam Lotus è stata costruita in 1.184 esemplari con la guida a destra, circa metà del totale complessivo. Oggi però la maggior parte è finita dallo sfasciacarrozze: secondo l’Owners Club ce sono in giro solo un’ottantina. E una di loro è qui oggi, splendente sotto il sole quasi estivo con quella sua livrea classica Embassy Black con le strisce argentate. È una Serie 1, lo si capisce subito dai fari anteriori più piccoli e dallo stemma pentagonale della Chrysler al centro della grossa griglia.

A questo punto qualcuno tra voi di sicuro sbotterà: «ma non era una Talbot?» Meglio che vi racconti un po’ la sua storia…

Alla fine degli anni Settanta l’industria automobilistica inglese non se la passava molto bene (per non dire di peggio) e la Chrysler UK non faceva eccezione. La Casa aveva acquisito la Rootes Group, di fatto un agglomerato di piccoli marchi famosi come Hillman e Singer, e la Sunbeam in pratica era un progetto finanziato dal governo inglese per impedire alla Chrysler di chiudere lo stabilimento di Linwood, nei pressi di Glasgow.

La Sunbeam, lanciata nel 1977, era sostanzialmente una Hillman Avenger. Con il progetto Sunbeam, infatti, Des O’Dell, capo del settore motorsport alla Chrysler, era deciso a ripercorrere i successi della Avenger nei rally lanciando il guanto di sfida alle Ford Escort.

Gran parte della meccanica della Avenger venne presa e montata sulla Sunbeam ma serviva anche un buon motore. Lo prese dalla Lotus, che nel frattempo si era trovata senza un cliente quando la Jensen, a cui forniva i propulsori da 2 litri, fallì. Viste le circostanze e considerato che il vice di O’Dell, Wynne Mitchell, era stato all’università con l’allora direttore della Lotus Mike Kimberley, venne trovato subito un accordo tra le due Case. Il motore fornito dalla Lotus era un quattro cilindri aspirato 2.2 (il type 911, molto simile al type 912 della Esprit S2 e S3). In versione stradale erogava 150 CV ma poteva essere elaborato fino a superare tranquillamente i 200 CV.

La Sunbeam Lotus stradale ha debuttato al Salone di Ginevra nell’aprile 1979. Nel frattempo la Chrysler UK era stata venduta alla PSA e quando, nell’estate di quell’anno, sono iniziate le consegne, il marchio Talbot apparteneva ormai alla Peugeot che l’ha utilizzato per la Sunbeam, anche se c’è stato un periodo di transizione in cui le Serie 1 erano chiamate Talbot ma avevano lo stemma della Chrysler.

La Lotus non forniva soltanto i motori, ma era anche coinvolta nella progettazione delle sospensioni e del sistema di scarico. Il telaio veniva costruito sulla linea di produzione della Chrysler a Linwood e poi spedito alla Lotus a Ludham, per fissare i motori con doppio albero a camme (costruiti a Hethel) e il cambio ZF a cinque marce.

Le Serie 2, che hanno debuttato nel 1981, sfoggiavano una grossa T al centro della griglia anteriore, il motore era leggermente elaborato, il serbatoio e i fari erano più larghi e gli specchietti laterali erano diversi. Nel 1982 l’unica alternativa alla livrea Moonstone Blue era l’edizione speciale Avon Coachworks con le strisce blu scure Talbot su fondo Moonstone e stemma verde e giallo della Lotus con il tetto in vinile.

Questa edizione speciale doveva essere costruita in 150 esemplari con targa da DDU 1Y a DDU 150Y ma ne sono stati ufficialmente convertiti solo 56 (che tra l’altro non sono nemmeno stati immatricolati seguendo la numerazione logica da DDU 1Y a DDU 56Y).

Bene, dopo questa piccola premessa torniamo a noi. Anche se sono sempre stato affascinato dalla Sunbeam Lotus e non vedo l’ora di poterla finalmente guidare, a prima vista la sua linea così semplice e anonima non preannuncia nulla di eccezionale. E poi quel cofano sembra così lungo e il lunotto enorme.

Dave Merlane della Sunbeam Lotus Owners Club e attuale proprietario dell’auto ci rivela che non si tratta di un esemplare completamente originale. Ma funziona bene ed è questo l’importante. Mentre Dean scatta foto a più non posso, Dave ci fa notare alcuni dettagli interessanti, come il tachimetro che tocca i 225 (la Sunbeam GLS su cui è basata la Sunbeam Lotus arriva a 195; è uno dei modi più semplici per distinguere una Sunbeam Lotus reale da una replica). Dando una rapida occhiata sotto il cofano ci accorgiamo che il quattro cilindri montato longitudinalmente sta un po’ stretto nel vano motore. Dave si scusa per i cerchi Minilites non originali e più grandi di un pollice ma non ha fatto a tempo a sostituirli con un set di cerchi originali (è colpa nostra, l’abbiamo chiamato con troppo poco preavviso). Però le stanno bene…

Finite le foto e passato il solito improvviso acquazzone, è arrivato finalmente il momento di guidare la Sunbeam. La chiave di accensione è di un bel blu brillante e ha lo stesso stemma Chrysler che troviamo sulla griglia anteriore. La si infila nella fessura della colonna dello sterzo, la si gira, si aspettano dieci secondi, si preme un paio di volte il pedale dell’acceleratore, si gira ancora la chiave per accendere lo starter e finalmente ecco che il 4 cilindri con doppio albero a camme si risveglia.

Dave ci avverte di non tirare mai l’aria: «neanche quando fa un freddo polare, altrimenti affoghi di benzina il motore».

Seduto qui con il motore al minimo, non posso fare a meno di sfiorare un paio di volte l’acceleratore. Non molto, solo una toccatina ogni tanto per far salire i giri e godermi quel collegamento istantaneo tra il pedale e i pistoni, una cosa che si può provare solo con un acceleratore a cavo come questo. Il motore monta carburatori Dell’Orto da 45 mm (gli stessi della mia RS2000 Escort) e ha un bel sound corposo con una stupenda nota rauca. Lo ZF a cinque marce ha la prima indietro. La leva del cambio non standard di questo esemplare è assurdamente lunga e sottile, ma il pomello del cambio è proprio dove serve, vicino al volante per non dover spostare troppo le mani.

Si sale un po’ di giri, si lascia pian piano la frizione fino a trovare il punto di attacco e via. Partiti. Sulle stradine impegnative che abbiamo scelto per metterla alla prova, la Sunbeam rivela una guida rigida sull’asfalto sconnesso, ma con la velocità aumenta anche la sua capacità di assorbire le buche: chiaramente le sospensioni sono state progettate per tenere un ritmo sostenuto.

Arriva un altro acquazzone e sono costretto a scoprire, e in fretta, quale tra i ferri da calza dietro al volante comanda il tergicristallo. Dopo aver messo la freccia e acceso i fari, riesco finalmente a sgombrare l’acqua dal parabrezza e persino a trovare il tergicristallo posteriore.

Se non gli fai fretta il cambio ZF è ottimo: è deciso e positivo, ha il peso giusto e anche senza guardare sai sempre esattamente in che marcia sei.

Lo sterzo è pesante ma positivo e rassicurante e dopo qualche minuto sulla Sunbeam ti viene la tentazione di aumentare inevitabilmente il ritmo. Così scali una marcia e pesti sul gas (ogni scusa è buona), facendo schizzare i giri verso l’alto e meravigliandoti di quanto questa macchinetta dall’aspetto tranquillo si stia rivelando agile, veloce e grintosa. Considerando che questo esemplare ha un motore completamente di serie, sono stupito dal ritmo che riesce a tenere. Prima di guidarla credevo che quello 0-100 in meno di 7 secondi fosse fattibile solo se ti chiami Sébastien e corri nel WRC, ma adesso capisco che l’avevo davvero sottovalutata.

Questa macchina dà dipendenza. Il motore è vivacissimo e adora salire di giri, e con quel sound così fantastico vorresti sempre guidarla a manetta, come una vera compatta sportiva. Il telaio sembra molto corto e squadrato rispetto a quello di una Escort. Se date un’occhiata ai video dell’epoca di Henri Toivonen e dei suoi colleghi al volante della Sunbeam vi accorgerete che era facilissimo mandarla in sovrasterzo. Con quel grip impressionante garantito dall’anteriore, il sottosterzo invece sembra impossibile. Se però volete proprio provarci, scoprirete che la Sunbeam arriva al limite all’improvviso e che l’unica cosa che ti impedisce di sbatterla in un fosso è il suo sterzo fulmineo che permette di controsterzare e riprendere la traiettoria. Con questa Sunbeam in particolare, il sovrasterzo non è così immediato come pensavo (e speravo), probabilmente a causa delle gomme con il battistrada largo e la mescola moderna, ma è comunque divertentissima, soprattutto nelle curve veloci dove le sospensioni sembrano affrontare meglio le sconnessioni.

Viste le sue doti innegabili, è strano che la Sunbeam Lotus non abbia conosciuto la stessa fortuna della Escort Mk2.

Forse dipende dal fatto che la Escort è arrivata per prima e che i successi della Sunbeam sono stati ben presto eclissati dalle mostruose Gruppo B. Anche al giorno d’oggi la Escort mette in ombra la Sunbeam: chi è alla ricerca di una trazione posteriore degli anni d’oro con un pedigree da rally infatti quasi sicuramente sceglierà la Ford per il suo prezzo ridicolo, scartando la più cara e rara Sunbeam.

Prezzo a parte, bisogna anche considerare che la Escort, con il suo layout a motore trasversale e trazione anteriore, era molto più pratica della Sunbeam, quindi forse non dovrebbe sorprenderci troppo che la trazione posteriore abbia impiegato vent’anni a fare capolino nel campo delle compatte sportive, con la BMW serie 1. Ma come dimostra oggi la M135i, questa configurazione è interessante e sicuramente valida per gli appassionati di guida che considerano emozioni e dinamica ben più importanti di un po’ di spazio in più nell’abitacolo e nel bagagliaio.

Scheda Tecnica

Motore4 cil. in linea, 2.172 cc
Potenza150 CV @ 5.750 giri
Coppia203 Nm @ 4.500 giri
Trasmissionecambio manuale a 5 marce, traz. posteriore
Sospensioni ant.schema MacPherson, molle elicoidali, ammortizzatori, barra antirollio
Sospensioni post.assale rigido, molle elicoidali, ammortizzatori
Frenidischi solidi da 241 ant. e 203 mm post.
Cerchi6x13" ant. e post.
Peso960 kg
Potenza-peso159 CV/tonnellata
0-100 km/h6,6 secondi (dichiarati)
Velocità195 km/h (dichiarata)
Prezzo6.763 euro (1980)
Valore auto usata8.500-12.000 euro

Talbot Sunbeam Lotus

Smartworld

La compatta sportiva francese iridata rally nel 1981

La Talbot Sunbeam Lotus è una compatta sportiva che è stata protagonista nella prima metà degli anni Ottanta. Questa vettura ha infatti vinto il Mondiale Marche rally nel 1981 mentre la variante di serie ha dato del filo da torcere alla Volkswagen Golf GTI.

Caratteristiche principali

La Talbot Sunbeam Lotus nasce per divertire: merito della trazione posteriore (il pianale è lo stesso della Hillman Avenger del 1970) e di opportune modifiche rispetto alle versioni “normali”, come ad esempio le sospensioni più rigide.

Presentata al Salone di Ginevra del 1979, è molto diffusa con la vernice bicolore nera/argento.

Il motore

Il motore 2.2 da 150 CV – che permette alla Talbot Sunbeam Lotus di raggiungere una velocità massima di 195 km/h e di accelerare da 0 a 100 km/h in 6,6 secondi – deriva dal 2.0 montato dalle Lotus Elite, Eclat ed Esprit. Sulla versione da gara – capace di vincere il Rally RAC del 1980 con Henri Toivonen e quello d’Argentina nel 1981 con Guy Fréquelin – la potenza può arrivare a 250 CV.