LC2: l’ultima Lancia da pista

Lancia LC2
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Storia della sfortunata protagonista del Mondiale Sportprototipi, penalizzata da numerosi problemi di affidabilità

La LC2 è l’ultima Lancia ad aver gareggiato in pista: negli anni ’80 questo prototipo tentò senza successo di contrastare il dominio Porsche nel Mondiale Sportprototipi e non ci riuscì soprattutto per problemi di affidabilità. Scopriamo insieme la sua storia.

Lancia LC2: la storia

Il progetto della Lancia LC2 – erede della LC1 – nasce nel 1982 per rispettare il nuovo regolamento tecnico Gruppo C. Si tratta di una berlinetta chiusa biposto con carrozzeria in materiali compositi (fibra di carbonio e Kevlar) montata su un telaio monoscocca – realizzato da Dallara – in avional con centine di rinforzo in magnesio. Da non sottovalutare, inoltre, il roll-bar in titanio con pannelli in honeycomb.

Il motore – realizzato completamente dalla Ferrari – è un 2.6 V8 con due turbocompressori KKK in grado di generare potenze comprese tra 520 e 650 CV, il parabrezza avvolgente presenta resistenze elettriche incorporate nel vetro per ridurre il rischio di appannamento mentre la pedaliera è posizionata dietro l’asse delle ruote anteriori per garantire maggiore protezione alle gambe del pilota.

1983

La prima stagione iridata della Lancia LC2 non è delle migliori: la Porsche è imbattibile e la Casa torinese – che deve fare i conti con un propulsore meno potente di quello adottato dai rivali di Zuffenhausen e, soprattutto, con un’affidabilità precaria – deve accontentarsi del secondo posto tra i Costruttori. Il miglior piazzamento è il secondo posto ottenuto da Riccardo Patrese e Alessandro Nannini a Kyalami.

1984

Tante le modifiche apportate alla vettura: la potenza sale fino a 670 CV e debuttano un nuovo cambio Abarth che rimpiazza la trasmissione Hewland troppo soggetta a rotture, un cofano anteriore che migliora la deportanza e pneumatici più larghi. I cambiamenti al regolamento portano inoltre ad una riduzione dei materiali leggeri: numerose componenti precedentemente realizzate in titanio e magnesio vengono costruite in alluminio e acciaio.

Nel corso della stagione – nella quale viene anche utilizzato un nuovo motore 3.0 V8 da 720 CV – i guasti sulla Lancia LC2 continuano a verificarsi.

La sfortuna sparisce solo nell’ultima gara – sempre a Kyalami – quando arriva una doppietta: primi Patrese e Nannini, secondi il francese Bob Wollek e Paolo Barilla.

1985

Dopo due anni di delusioni la Casa torinese punta al titolo iridato con un motore rivisto meno assetato di quello Porsche, una carrozzeria più larga e nuovi pneumatici Michelin.

La situazione, però, non migliora: l’unica (nonché ultima) vittoria della Lancia LC2 arriva a Spa con Mauro Baldi, Wollek e Patrese.

1986

Nell’ultima stagione Mondiale la LC2 partecipa solo ad un paio di gare, affrontate con un propulsore più potente (760 CV) e in grado di consumare meno grazie al sistema di iniezione enettronica rivisto.

L’ultima apparizione di una Lancia “ufficiale” in pista risale al 20 luglio 1986 a Brands Hatch.

Lancia LC2

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Un mostro di potenza dedicato alle gare di durata

La Lancia LC2 nasce nel 1983 per gareggiare nel Campionato Mondiale Sportprototipi e più precisamente nella categoria Gruppo C. Tanto veloce quanto inaffidabile (13 pole position in carriera e solo tre successi), è l’unica in grado di contrastare le Porsche 956 e 962.

Caratteristiche principali

Il telaio monoscocca in alluminio, progettato dalla Dallara, e la carrozzeria in kevlar consentono di contenere il peso mentre la riduzione della carreggiata permette di migliorare l’aerodinamica e, allo stesso tempo, di ridurre i consumi e di aumentare la velocità massima in rettilineo.

Motore

Il propulsore V8 di origine Ferrari, preparato dall’Abarth e sovralimentato, ha una cilindrata di 2,6 litri, incrementata nel 1984 a 3 litri. La potenza ufficiale è di 680 CV ma in qualifica e nei sorpassi può arrivare a 1.000 CV grazie a un overboost.

Lancia LC2: così è rinato un gioiello tecnologico

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di Giancarlo Reggiani

Storia del decimo esemplare, ritrovato e rimontato pezzo per pezzo

A trent’anni dallo sbarco sulla Terra, la stratosferica Lancia LC2, un siluro rasoterra da oltre 800 CV (in prova arrivava anche a sfondare la barriera dei 1.000 CV aumentando a 3,5 i bar di pressione delle turbine), rimane un esempio, quasi alieno, di come la tecnologia possa produrre mezzi superlativi che, a volte, non riescono a esprimere tutto il loro potenziale per le grandi quantità di denaro e attenzioni che il loro costante aggiornamento e la ricerca dell’affidabilità richiedono.

L’ipotetica regina del Campionato del Mondo Sport Prototipi, che avrebbe potuto sbaragliare le prepotenti Porsche 956 e poi 962 (che a quei tempi terrorizzavano gli avversari) si limitò a tre vittorie assolute nel corso della sua breve carriera (dal 1983 agli inizi del 1986), ma si aggiudicò ben tredici pole position, e questo la dice lunga sulle sue potenzialità. Fu però la mancanza degli investimenti necessari allo sviluppo che la rallentarono più di una zavorra di piombo. Senza contare che le sue prestazioni altisonanti non erano affiancate dall’indispensabile affidabilità per una vettura destinata alle gare di durata.

Correva l’anno 1983 quando la Lancia estrasse dal cappello (il reparto corse di Corso Francia, targato Abarth), questa Gruppo C che, sulla carta, era una vettura senza rivali: 850 CV su 850 chili di peso (!), oltre 400 km/h di velocità massima (rilevata sul mitico rettilineo Hunaudières a Le Mans), uno 0-100 in meno di 3 secondi (con i rapporti lunghi!), carrozzeria in carbonio e kevlar, telaio a struttura centrale portante in alluminio con pannelli di Inconel (una superlega a base di nichel-cromo), motore Ferrari 8 cilindri biturbo completamente in alluminio e… una tecnologia da paura!

Il propulsore era una vera e propria fabbrica di cavalli, ma anche un’opera d’arte estetica in nobile alluminio, con pregiate saldature al TIG che univano i vari componenti dei condotti di aspirazione, donando un aspetto da technoart.

Nella progettazione del propulsore ebbe parte rilevante l’ingegner Nicola Materazzi (lo specialista dei turbo in Ferrari), mentre il telaio fu progettato da Giampaolo Dallara (tecnico sopraffino nonché papà della Miura).

Complessivamente, dal 1983 al 1986 vennero prodotti solo nove esemplari di questo missile terra-terra, ma la storia che vi voglio raccontare riguarda la LC2 con il telaio numero 10, mai assemblata dalla Lancia e nata solo grazie alla passione e all’impegno della nota officina Toni Auto di Maranello, del suo titolare Silvano Toni, del padre Franco (scomparso nel 2009) e del motorista Vincenzo Conti. È proprio Vincenzo a narrarci la genesi di quest’avventura: «Era il 1991 quando io e Silvano partimmo con un camion alla volta di Torino, con destinazione officina del Team Mussato, che possedeva una grande quantità di parti meccaniche delle LC 2».

«Gianni Mussato, infatti, aveva portato in gara privatamente le Lancia Gruppo C, dal 1986 al 1990 (con una sola gara a stagione nel 1987 e 1988). I risultati, purtroppo, non furono all’altezza delle aspettative, ragion per cui Mussato decise di vendere tutto il materiale ancora in giacenza nel suo magazzino». Inizia così la storia, un po’ triste, dell’unica vettura italiana che prese parte al Campionato Mondiale Sport Prototipi Gruppo C. «In officina», riprende Vincenzo, «sembrava di essere in un negozio di modellismo: scatole e scatole di pezzi da assemblare per costruire un modello in scala 1 a 1». Leggo nei suoi occhi l’eccitazione per quell’esperienza unica: «Nonostante la miriade di casse», riprende poi Vincenzo, «purtroppo, la vettura non era completa: mancavano il cofano anteriore, il parabrezza, il radiatore anteriore, il serbatoio dell’acqua e il telaio!», mi dice con sguardo ancora angosciato. «Per fortuna sapevamo che quest’ultimo, con relativa targhetta di numerazione originale, era reperibile da Dallara, ma per gli altri pezzi avremmo dovuto arrangiarci», spiega con rammarico.

Chissà che emozione per una tale avventura e immagino, dato il mio passato di modellista, di trovarmi in casa un tale kit di montaggio.

«Facendo la lista della spesa», riprende Vincenzo, «ci accorgemmo anche che l’unico cambio a disposizione, lo Hewland originale della vettura (a cinque rapporti), aveva la pregiata scatola in magnesio incrinata», racconta come se se ne fosse accorto oggi. «Comunque caricammo trenta casse di pezzi sul camion, dopo aver fatto la conta dettagliata di tutti i particolari». Sorpreso dalla quantità di materiale di cui mi parla, chiedo a Vincenzo se ricorda ancora nel dettaglio tutti i pezzi di questa fantastica scatola di montaggio che Mussato aveva messo a loro disposizione: «Certo che sì!», afferma orgoglioso. «C’erano un motore completo, già revisionato (sul quale era scritto Le Mans!), un albero, un basamento con coppa dell’olio che fungeva anche da supporto dell’albero – una geniale trovata che eliminava i supporti di banco, con relativo risparmio di peso – 4 collettori di scarico in Inconel, 4 condotti di aspirazione, 20 turbine già modificate in Inconel (sulle prime LC2 erano in ghisa e si deformavano per il calore nei lunghi tratti rettilinei a pieno gas della 24 ore di Le Mans), 100 alberi a camme in testa, con diversi profili per i vari circuiti del Mondiale, 50 cinghie di distribuzione, 100 candele speciali, 200 pistoni, 50 bielle in titanio e… un centinaio di valvole! Naturalmente, insieme a tutto ciò, c’erano numerosi tubi Aeroquip, la raccorderia, i paraolio e i cuscinetti». Insomma, un vero e proprio ben di dio!

Vedendomi stupito, Vincenzo aggiunge: «Ma non ti ho ancora parlato della parte più preziosa», dice scherzando. «Tutto l’impianto elettrico, infatti, era realizzato con cavetti in argento, così come i cablaggi. Poi c’era la vera e propria testa pensante: la centralina Weber-Marelli, con relativo computer per l’accensione del propulsore.

Questo particolare esterno era in grado di variare l’anticipo e l’iniezione in fase d’avviamento, ingannando la centralina, per permettere le partenze anche con motore freddo».

Sbarrando gli occhi, un poco frastornato da quest’elenco di componenti da sogno, gli chiedo: «E per quanto riguarda la meccanica del telaio, la carrozzeria e gli interni?» Come, aspettandosi la domanda, Vincenzo risponde pronto: «In quel caso, i pezzi erano per lo più singoli, quindi portammo a casa 2 semiassi, con portamozzi e braccetti, un serbatoio speciale con tappo a innesto rapido, 4 ammortizzatori, 2 sedili, uno dei quali finto (quello del passeggero), la strumentazione e il cruscotto completo per una vettura, e le pelli». Nel vedermi perplesso per l’ultima cosa elencata, Vincenzo specifica meglio: «Naturalmente intendo la carrozzeria: l’enorme cofano motore in Kevlar con l’ala in carbonio, le portiere con finestratura e il tetto. Era davvero un sacco di roba!» aggiunge, quasi pensando di doverla ancora caricare sul camion. «Poi, insieme all’impianto frenante completo della Brembo, Mussato ci fornì ben 20 dischi freno scomponibili (le campane centrali in Ergal, infatti, erano fisse) oltre a 50 pastiglie speciali che avevano uno spessore “terrificante” di almeno 3 centimetri». Per fermarsi a 400 all’ora, penso, ci vuole un bel dispendio di calore e di superficie frenante!

«Poi le scarpe», riprende Vincenzo divertito, «ovvero 4 cerchi BBS scomponibili con enormi pneumatici slick. Comunque, dato che quelle misure non erano facilmente reperibili, provvedemmo a farci costruire dei nuovi cerchi per gomme più comuni (si parla sempre di pneumatici slick). Come ultima chicca, Mussato ci fornì anche una bombola da sub, con compressore di ricarica, che era quella necessaria per azionare i 3 martinetti che sollevavano la LC2 da terra per l’assistenza ai box».

Vincenzo mi guarda e poi aggiunge, quasi sconsolato: «il bello è che dopo tutto quello sbattimento a caricare scatoloni, ci mancava ancora il telaio».

«Così, per completare il lavoro, Silvano si recò a Varano De Melegari, da Dallara, e si fece poi assemblare da un’officina esterna tutti i pezzi relativi a questa parte così importante. La LC2 aveva un telaio con struttura centrale alla quale erano flangiato il motore (con funzione portante per le sospensioni) e un sottotelaio anteriore che supportava l’avantreno e le sospensioni», mi spiega con passione. «Poi, una volta che tutto fu arrivato nella nostra officina a Maranello, finalmente iniziammo a costruire il nostro puzzle, proprio partendo dal telaio», dice orgoglioso.

«Ci volle più di un anno di lavoro: io, Silvano e Franco stavamo in officina fuori orario, anche fino a oltre la mezzanotte, per mettere insieme quella creatura che continuava a sorprenderci: l’alternatore, per esempio, era montato direttamente sul semiasse destro, e non sul motore come sulle auto normali. Ciò era stato pensato per non intaccare la potenza sul propulsore, che funzionava, tra l’altro, solo con un additivo contro la detonazione da aggiungere alla benzina, per contenere la temperatura nelle camere di scoppio! Un’altra curiosità di questa meravigliosa e raffinata vettura, di cui ci accorgemmo solo dopo l’utilizzo in pista, era che il serbatoio dell’olio motore (la LC2, naturalmente, era dotata di un carter secco), collocato sul tetto, andava svuotato immediatamente dopo l’uso dell’auto, per evitare che le turbine s’intasassero con il flusso in caduta libera dal serbatoio sul tetto», mi racconta divertito.

«Dopo mesi e mesi di duro lavoro, in cui fu necessario farsi costruire appositamente alcuni pezzi mancanti, come per esempio il cofano anteriore e il parabrezza, realizzato in Lexan anziché in cristallo, per rimediare al problema delle incrinature e delle crepe dovute alle vibrazioni della LC2, la nostra creatura prese la sua forma meccanica definitiva.

Per la carrozzeria ci affidammo all’opera dello specialista Nitro C, che spese quattro giorni di lavoro presso una carrozzeria di Maranello, che gli aveva messo a disposizione la sua struttura, per realizzare la spettacolare livrea Martini che distingueva la nostra LC2».

Alla fine di questa chiacchierata mi guarda orgoglioso: «Pensa che tutta la colorazione è stata realizzata a mano, senza alcun tipo di film adesivo, semplicemente mascherando la superficie pezzo per pezzo e spruzzando, progressivamente, i vari strati di colore».

Spettacolare!

«Questa vettura», prosegue Vincenzo, «è stata certamente una delle più affascinanti opere meccaniche che ci sia mai capitato di realizzare nell’officina di Silvano, e il portarla in pista, quando fu pronta, fu un’emozione indescrivibile!»

Io ebbi l’onore di fotografarla al Mugello, durante una prova che realizzammo per un servizio giornalistico, e me la ricordo ancora come una delle sportive più “inquietanti” che mi sia mai capitato di avvicinare!

Mentre ricordo con emozione quei giorni e quegli scatti, Silvano Toni s’affaccia nell’ufficio dove mi trovo e mi dice: «Lo sai, Giancarlo, che questa è stata la prima auto sportiva che mio figlio Andrea ha provato? Stravedeva per la LC2 e quando aveva 19 anni gli permisi di farci qualche giro a Misano, durante una manifestazione organizzata dalla Dunlop.

Mio figlio non voleva più fermarsi e quando finalmente è sceso dalla vettura aveva un sorriso a 32 denti che ricordo ancora», mi dice sorridendo. «Beato lui!» penso io.

Scheda Tecnica

Motore8 cilindri a V di 90° Ferrari/Abarth, posteriore, centrale, longitudinale, 3.014 cc
Alesaggio e corsa84 mm x 68 mm
CompressioneV8 90° Ferrari/Abarth
Distribuzionedoppio albero a camme in testa
Alimentazioneiniezione elettr. Weber Marelli
Aspirazione2 turbine KKK
Potenza850 CV @ 9.000 giri/minuto
Corpo vetturaSport Prototipo in compositi
Sospensioniquadrilateri deformabili, ammortizz., molle elicoidali, barre di torsione
Telaiomonoscocca centrale in alluminio e Inconel
Trazioneposteriore, cambio Hewland a 5 rapporti + RM, differenziale bloccato
Peso850 kg
Potenza-peso1.000 CV/tonnellata
0-100 km/h2,7 secondi (con i rapporti lunghi)
Velocità+400 km/h (con i rapporti lunghi)
Anno di produzione1983-86 (9 esemplari + 1)