Leon Camier, l’intervista: “Il mio piano futuro? Aiutare i giovani piloti (ma non mi ritiro)”

Red Bull Honda - Leon Camier
Smartworld
di Cristina Marinoni

L’infortunio all'ultimo round tiene il pilota lontano dai circuiti, ma non frena la voglia di tornare in sella. Convalescente, il rider del Red Bull Honda Superbike Team fa progetti e ricorda Nicky Hayden

A pochi giorni dallo scontro con Lorenzo Savadori e Jordi Torres nel round di Aragón, dove ha rimediato la frattura di tre costole posteriori, una lesione al torace e una contusione ai polmoni, Leon Camier è costretto al riposo, ma pensa a rientrare in pista al più presto.

“La CBR1000RR Fireblade SP2 è in continuo miglioramento e sarà sempre più competitiva” spiega il pilota inglese, classe 1986, alla prima stagione nel Red Bull Honda Superbike Team.

Il rider, vincitore della British Supersport nel 2005 e dela British Superbike nel 2009, è convinto “di avere a disposizione la moto con cui fare il salto di qualità per festeggiare il suo decimo Mondiale delle derivate“. Noi lo abbiamo intervistato.

 


Qual è il tuo obiettivo, quest’anno?

“Vincere almeno una gara. È un sogno che può diventare realtà: al podio credo che manchi pochissimo, ormai”.

Quanto?

“Questione di dettagli. La moto non è molto diversa da quella del 2017, eppure il progresso è notevole”.

A cosa ti riferisci in particolare?

“Adesso l’anteriore è eccellente, come l’entrata in curva e la frenata. L’intero pacchetto è buono, insomma, anche se dobbiamo mettere a punto la gestione delle gomme, perché a fine gara sono conciate davvero male, la potenza e l’elettronica. Abbiamo appena installato centralina Magneti Marelli, che diventerà obbligatoria per tutte le scuderie dal 2019, e serve macinare chilometri per sfruttarne le potenzialità”.

Quando arriverà il podio?

“Presto, mi auguro. Quando avremo un briciolo di fortuna in più. Bisogna avere pazienza e continuare a lavorare duro, passo dopo passo”.

In WorldSBK non hai ancora ottenuto grandi risultati: se dovessi scegliere tra il titolo e unesperienza nella MotoGP?

“Diventare campione qui, senza dubbio. La classe regina è la massima aspirazione per qualsiasi pilota, ma senza un prototipo in grado di lottare con i migliori non ha senso trasferirmi. In più, il campionato delle derivate ha raggiunto un livello mai visto visto pirima: la lotta in pista è sempre aperta, con dieci piloti che hanno l’opportunità di salire sul podio a ogni gara”.

Merito del nuovo regolamento?

“Sì, approvo la scelta di modificarlo: le novità contribuiscono a regalare grande spettacolo agli appassionati”.

Scommetteresti su Rea che vince il quarto Mondiale consecutivo?

“Adesso no. La Kawasaki è fortissima, ma con la limitazione dei giri motore fatica a dominare. Comunque resta il fatto che Johnny sia un fuoriclasse, la Ninja ZX-10R vada come un fulmine o e insieme formino una coppia stellare”.

Su chi punteresti, allora?

“La moto da battere è la Ducati: Chaz Davies ha talento da vendere, Marco Melandri ha iniziato la stagione alla grande ed entrambi sfrutteranno al meglio la Panigale”.

Il tuo avversario principale?

“Se escludo le due scuderie sopra, la Yamaha di Alex Lowes e Michael van der Mark: la R1 èsolida e  tiene benissimo il ritmo fino alla bandiera a scacchi”.


Di infortuni te ne sono capitati diversi, in tanti anni di carriera: non è difficile tornare in sella?

“No: senza moto non potrei vivere e l’istinto mi spinge a riprovarci appena le condizioni fisiche me lo consentono. Io non mollo anche perché so di meritare di più di quanto abbia conquistato e avere cambiato scuderia è stato come prendere una boccata d’aria fresca”.

Hai progetti a lungo termine?

“Se la motivazione e il ‘manico’ ci sono, sarebbe sbagliato ritirarmi presto: basta guardare Valentino Rossi, 39 anni, e Shane Byrne, 41, che duella ancora come un leone nella British Superbike”.

E ancora più in là nel tempo?

“Mi piacerebbe aiutare i giovani piloti oppure chi arriva nella WorldSBK. Al mio debutto non avevo riferimenti nell’ambiente, ho dovuto imparare tutto da solo: il ruolo di guida mi stimolerebbe molto ed essere utile ai giovani, trasferire le competenze che ho acquisito, mi gratificherebbe tantissimo”.

A proposito di esordio: ti viene in mente un episodio particolare?

“Il coraggio dei miei genitori: nel 2003 non trovavo sponsor per correre nella 125 del Motomondiale. Servivano 100 mila sterline e papà e mamma hanno venduto la nostra casa nel Kent per permettermi di gareggiare”.

Un ricordo recente, invece?

“Nicky. Hayden, naturalmente. Quando sono in sella sono focalizzato sulla prestazione, ma nel box spesso e anche in questi giorni di sosta forzata penso a lui: l’anno scorso guidava la mia moto e tra un mese sarà passato un anno dalla sua scomparsa”.

Che tipo era il “Kentucky Kid”?

“Un ragazzo meraviglioso: in gamba, umile, sempre pronto a congratularsi o a scusarsi. Considero Nicky un eroe dello sport ed è una fonte di ispirazione: si è impegnato anima e corpo in questo team e io faccio altrettanto anche per ringraziarlo e portare avanti il suo lavoro.

È stato un onore, oltre che un piacere, dividere con lui la griglia di partenza”.